MARISCUOLA    TARANTO


RELAZIONE


"IL MOVIMENTO STUDENTESCO DAL 68 AL 77: LA DIDATTICA TRADIZIONALE E LA CRISI ESPLOSIVA DELLE SUE CONTRADDIZIONI"


RELATORE
Prof. Ferdinando DUBLA
 
 

CANDIDATO
Capo Fr.2a classe MASTRELLA Humberto Alejandro
Corso P/MRS 1996-97

 

INDICE


PRESENTAZIONE

1.  LA SITUAZIONE DELLA SCUOLA E DELL'UNIVERSITA'
     ITALIANA NEGLI ANNI '60
     1.1.  Condizioni economico e ambientali
     1.2.  Qualita' della metodologia e strumenti sussidiari

2.   IL MOVIMENTO STUDENTESCO DEL '68
      2.1.  I protagonisti
      2.2.  I bisogni espressi e le reazioni

3.   LA SCUOLA E L'UNIVERSITA' 10 ANNI DOPO
      3.1.  I cambiamenti
      3.2.  I limiti dell'insegnamento tradizionale
 
4.   IL MOVIMENTO STUDENTESCO DEL '77

5.   LA CONTROINFORMAZIONE

      CONCLUSIONE
      BIBLIOGRAFIA



PRESENTAZIONE
 

  Nella presente relazione si è voluto analizzare la metodologia e la didattica tradizionale come adottate nella scuola e nella università italiana nel periodo fra la fine degli anni '60 e gli anni '70.
  L'attenzione si è focalizzata in questo arco di tempo perché è proprio in questi anni che le stesse entrano in crisi sulla scia di una contestazione più vasta ed allargata che investirà tutta la società italiana del dopo " boom " economico.
  La contestazione nascerà dalla insoddisfazione dei giovani verso una società borghese, cieca ed autoritaria propria degli adulti ("i matusa")di questi anni e troverà il suo più immediato terreno di scontro nella scuola e il suo primo antagonismo nel docente che di quella cultura dogmatica è portatore.
  Il suo pressappochismo e la superficialità nella didattica adottata e nella programmazione, la sua incapacità di operare sia l'acquisizione dei presupposti che di una metodica di verifica, ed infine la sua inidoneità a stimolare l'interesse del discente, genererà insoddisfazione e frustrazione nello studente di questi anni.
  Sarà proprio tale studente a farsi protagonista dei due movimenti del '68 e '77.
  Nonostante le caratterizzazioni proprie di ciascun movimento, i particolari bisogni espressi, le esigenze e le paure che animarono i giovani di quegli anni, rimarrà comune la matrice in entrambi: l'insoddisfazione per una comunicazione docente-discente di tipo assertivo e per l'inadeguatezza degli strumenti didattici adottati quali, per esempio, l'uso della lezione-monologo.
 
 
1. LA SITUAZIONE DELLA SCUOLA E DELL'UNIVERSITA' ITALIANA NEGLI ANNI '60

1.1. Condizioni economiche ed ambientali

 Negli anni fra il 1959 e il 1963 l'Italia sembra vivere il suo primo "boom" economico dopo il secondo conflitto mondiale e gli italiani godono di un improvviso benessere e di un'agiatezza mai conosciuti prima.
 Tale miracolo, tuttavia, si dimostra ben presto un bluff se già' a partire dalla fine della seconda meta' del decennio si apre un periodo di crisi che poi precipiterà in una vera e propria recessione.
 La maggiore disponibilità' economica di questi anni determina la creazione di un nuovo ceto sociale, quello medio, che vede nello studio e nell'università' per i propri figli il proprio riscatto e la propria affermazione e crescita sociale. Accade, allora, che accanto al tradizionale modello di studente proveniente dalla borghesia medio-alta, già' ben inserito in un contesto culturale familiare, si affianchi questa nuova figura di studente che va ad ingrossare sensibilmente il numero dell'utenza scolastica.
 In questi anni, sembra iniziare quella che i contemporanei definiscono la "scolarizzazione di massa" che, per la verità, cosi' di massa non lo e' ancora come si rileva facilmente dai seguenti dati statistici:

SCUOLA ITALIANA  - ANNO 1968  -

ISCRITTI TITOLO DI STUDIO
75% LICENZA ELEMENTARE
47% LICENZA MEDIA
38% FREQUENZA SCUOLA SUPERIORE
UNIVERSITA' ITALIANA 1961-1968

Aumento iscrizioni 117% Nell'anno 1967 sono 500.000 e cioè 10 volte in piu' del 1923
Studenti 0,01% proletariato
laureati 0,6% 1 ogni 20 circa

 Il dato piu' rilevante resta, comunque, il passaggio avvenuto in questi anni da una Universita' esclusivamente "elitaria" ad una di tipo piu' allargato a figure sociali nuove di recente ricchezza.

1.2. Qualita' della metodologia e strumenti sussidiari

 A fronte dell'aumento dei discenti, la scuola e l'universita' non sanno dare risposta: entrambe restano inadeguate sia da un punto di vista quantitativo (nr. di aule e strumenti sussidiari) che, fatto assai piu' rilevante, da un punto di vista qualitativo nei termini delle metodologie di insegnamento applicate.
 Ai fini di una visione piu' completa della realta' di questi anni giova anche qui avere qualche dato statistico di confronto:

SCUOLA

ANNO PROFESSORI STUDENTI
1911 1 18
1967 1 50
UNIVERSITA'

ANNO PROFESSORI STUDENTI
1923 2.000 43.000
1968 3.000 500.000

CASO: Istituto di Anatomia Umana - Universita' di Roma - anno 1967 - per 1400 studenti iscritti ci sono 35 microscopi.-
 

 Per quanto concerne la didattica, metodologie e programmi risalgono alla riforma del 1923 voluta da Giovanni GENTILE allora Ministro della Pubblica Istruzione.
 Il Rapporto tra docente e discente relega quest'ultimo ad un ruolo puramente passivo; il professore si limita a tenere lezioni - conferenze e, nell'universita', l'unico momento di verifica dell'apprendimento e' dato dall'esame spesso pure delegato all'assistente.
 Il numero delle ore di lezioni universitarie e' bassissimo: la legge obbliga il docente a 50 ore annue e questi vi si attiene scrupolosamente avendo interesse ad impiegare altrove le proprie energie e capacita' professionali.
 E' evidente il limite di questo tipo di insegnamento perche' e' incapace di dare adeguati stimoli agli studenti e non da' il giusto ruolo a quella che puo' essere la risposta all'apprendimento (feedback).
 La comunicazione e', infatti, ad un solo senso e di tipo impositivo (assertiva) e lo scarso numero delle ore di lezione non permette l'adozione di un metodo perche' manca una organizzazione sistematica delle tecniche di insegnamento. Ci troviamo di fronte all'assoluta negazione di una comunicazione di tipo persuasivo basata, invece, sulla discorsivita' dialogica propria del metodo Socratico-Maieutico ("....far partorire le idee dalla testa degli studenti").
 L'adozione di un simile metodo avrebbe, infatti, favorito la partecipazione attiva del discente attraverso una dialogo costante col docente. In questi anni, al contrario, il docente non sa essere "guida" per il discente non riuscendo a metterlo in grado di scoprire autonomamente privandolo dell'opportunità di farsi autore di un "autoapprendimento per scoperta".
 Non vi e', pertanto, per lo studente del '68 alcuno stimolo alla ricerca ed alla confutazione.
 La complessa e difficile realta' descritta genera negli studenti disagi e frustrazioni mentre cresce la paura (ci sono le prime avvisaglie economiche del dopo - boom) che non vi sia fuori dalla scuola o dall'universita' nessuna possibilità di lavoro.
 E', infatti, un dato innegabile che proprio gli anni del miracolo economico in Italia non abbiano avuto come protagonisti operatori economici ed imprenditori provenienti dai canali tradizionali di formazione (scuola - universita') ma si sia trattato di "self made man", cioe' di uomini provenienti dai gradini piu' bassi della societa' che erano riusciti a "farsi da soli".
 Qualcuno, addirittura, come Gino Martinoli, membro del Comitato delle Scienze Economiche e Sociali del C.N.R., avanza il dubbio che i non colti, gli imprenditori cui va il merito del "boom" posseggano ".... una carica combattiva, uno spirito d'iniziativa che non e' portato da una cultura universitaria: anzi, pare che questa la smorzi" (cfr. MONICELLI, "l'ultrasinistra in Italia 1968-78").
 Le premesse ci sono tutte perche' la diffusa insoddisfazione degli studenti per una scuola ed una universita' che non funzionano, sfoci in un movimento di vasta contestazione e ribellione contro le stesse ed ogni altra istituzione del paese.

2. IL MOVIMENTO STUDENTESCO DEL 1968

2.1. I protagonisti

 E' proprio sul finire degli anni '50 - primi anni '60 che la generazione studentesca comincia a mostrare segni di inquietudine e di malessere verso la scuola e la societa'. All'inizio queste emozioni si esprimono come un generale senso di inadeguatezza verso quello che e' l'universo degli adulti a cui si sente di non appartenere. Tale estraneita' si dimostra creando un proprio mondo in cui i "matusa" sono esclusi e contro cui si erigono barriere di incomunicabilita' e di isolamento. Si privilegiano al contrario, i rapporti personali con i coetanei vicini nella critica ad ogni forma di autoritarismo della societa' degli adulti.
 Questo nuovo modo di "sentire" espresso per la prima volta dai giovani americani rimbalza presto in Europa e si diffonde in Italia dove trova facile terreno nella insoddisfazione dei nostri studenti di fronte alle tradizionali organizzazioni sociali e di partito che si considerano ormai perfettamente integrati nei meccanismi di ingranaggio del sistema. Quest'ultimo e' visto come soffocante, cieco ed oppressivo.
 Quello che agli inizi degli anni '60 era stato una diffusa sensazione di malessere di tipo fortemente esistenziale, diventa ben presto per la generazione del '68 una avversione generalizzata per ogni forma di istituzione dello stato e della societa'. Il senso di ribellione, spesso confuso ed incoerente, trova il piu' immediato antagonista nella scuola e nell'universita' di quegli anni.
 La protesta del '68 si allarga a macchia d'olio. Il 1° marzo di quell'anno il movimento ingaggia la sua prima grande prova di forza in piazza: e' lo scontro di Valle Giulia, a Roma. Quarantasei agenti vengono ricoverati in ospedale e dieci camionette della polizia incendiate.

2.2. I bisogni espressi e le reazioni

 E' proprio nell'ambiente scolastico che comincia lo scontro perche' e' qui che ci si prepara ad un lavoro e cioe' ad una collocazione in quella stessa societa' che si rifiuta.
 La scuola e' espressione di quella oppressione esercitata dal mondo degli adulti ed i Professori diventano il simbolo di quel potere e quella autorita' che i giovani combattono con forza.
 Non a caso lo slogan piu' diffuso in questi anni e' il principio di Fidel Castro secondo cui prima viene l'azione e poi la coscienza.
 Il movimento studentesco di questi anni rimane, tuttavia, per buona parte l'espressione di un gruppo elitario socialmente ed economicamente forte (la scuola e' ancora "cosa" da ricchi), estraneo ai partiti che ritiene ormai istituzionalizzati, pronto ad esaltare la individualita' e a mitizzare il dissenso.
 La scuola e' odiata perche' non insegna nulla se non a obbedire ed e' luogo di trasmissione di valori istituzionalizzati di una vecchia cultura borghese di cui  i Professori si fanno portavoce.
 La parola piu' comune e' "fascista" e il termine, piu' che indicare l'appartenenza al passato partito politico, allude a tutto cio' che e' autorita' e potere e dunque viene spesso usata ad indicare i docenti.
 Alla ripresa dell'anno accademico il piu' pronto a rientrare in azione e' l'Ateneo di Trento. Il 1° novembre gli studenti elaborano la proposta di una "universita' negativa" dando inizio a nuove forme di lotta: controlezioni o occupazioni bianche, ossia studenti che intervengono a controbattere le affermazioni del docente; controcorsi ossia lezioni autogestite su temi politico-ideologici, che si tengono nelle stesse ore di lezione di quelle accademiche.
 Il 18 novembre viene occupata la Cattolica di Milano e, anche qui, la lotta si fa subito aspra contro il potere baronale, i contenuti e i metodi didattici.
 La reazione che il mondo della scuola e della universita' hanno ai bisogni e alle richieste espresse dai giovani e' dapprima di smarrimento e sottovalutazione del fenomeno. Ben presto si fara' largo il fastidio per certi comportamenti dei giovani, poi l'isolamento, fino a raggiungere l'aperto contrasto.

3. LA SCUOLA E L'UNIVERSITA' 10 ANNI DOPO

3.1. I cambiamenti

 Alla fine degli anni '70 nella scuola e nelle universita' vi e' qualche nuovo elemento positivo: il diritto di parlare di sesso e politica (tradizionali tabu' del passato ) non e' piu' in discussione cosi' come e' ormai acquisito il diritto per gli studenti a tenere assemblee. Il '68 e il movimento studentesco hanno modificato il modo di rapportarsi fra docente e discente, quest'ultimo piu' protagonista, cosi' come e' cambiato il modo di fare cultura che e' meno dogmatico e piu' critico.
 Le problematiche relative al vertiginoso aumento del numero degli studenti, come e' apparso gia' a partire dagli anni '60, non sembrano essersi risolte ma al contrario il fenomeno in questi anni si e' acutizzato.
 Anche qui giova servirsi di qualche dato esplicativo:
UNIVERSITA'

ANNO ISCRITTI FREQUENTANTI
1977 1.000.000 10%
 

CASO: Nell'universita' di Roma ci sono 180.000 studenti (piu' degli iscritti a tutte le universita' americane della Costa Pacifica mentre spazio ed attrezzature sono adeguati ad un numero di 20.000 studenti).

 La qualita' della docenza universitaria e' quella che ha meno risentito dei cambiamenti degli ultimi anni: al contrario, i professori che sono stati spesso vittima di critiche e di accuse da parte degli studenti, sembrano piu' indifferenti ed aumenta tra loro la disaffezione per il proprio ruolo e con questi l'assenteismo.
 Sotto un profilo piu' strettamente didattico in questi anni si fa sempre piu' largo ricorso ai "seminari" ed ogni iniziativa e' affidata alla buona volonta' del singolo e alla insistenza di un gruppo di irriducibili studenti.
 Molti professori, definiti "baroni" perche' insediatisi in una cattedra anche grazie a selezioni e dinamiche di potere interno, appaiono insensibili alle proposte degli studenti in ordine al possibile aumento del numero delle ore di insegnamento e alla fissazione di determinati giorni per ricevimento.
 Vi e' un generale disinteresse da parte del docente alla possibilita' di effettiva comprensione dello studente:".......tutto e' molto dato per scontato e conosciuto o, tutt'al piu' da studiare da soli" come denuncia un documento elaborato dalla Commissione degli Studenti incaricata di una inchiesta nella Facolta' di Lettere dell'universita' di Roma (febbraio 1977).

3.2. Limiti dell'insegnamento tradizionale

 L'insegnamento di questi anni spesso relega l'allievo ad un tipo di apprendimento meccanico e non significativo poiche' lo costringe ad assistere ad una lezione-conferenza in cui il docente mantiene una comunicazione unilaterale.
 Questa e' una lezione di tipo collettivo (monologo, monologo + discussione, socratica, lezione basata sul rinforzo) ma quella adottata è del suo tipo piu' deteriore poiche' limitata al solo intervento del docente. Qui manca ogni forma di discussione e di dialogo e trovano soddisfazione la sola esaltazione dialettica e oratoria del docente (la "bella lezione" di cui parlava il De Bartolomeis alla fine degli anni '50).
 Non vi e' preoccupazione di accertare la reale conoscenza del discente, di svegliarne l'entusiasmo e di stimolarne l'interesse ma ci si limita a snocciolare dati ed informazioni.
 Manca, complice negativo l'alta densita' degli studenti, una qualsiasi forma di verifica metodica dell'apprendimento anzi e' possibile affermare che il feedback sia completamente inesistente. In definitiva dal momento che la lezione monologo si esaurisce in una sola fase dà poco spazio per le funzioni di stimolo.
 Il discente, privo di ogni confronto, non riesce ad avere una conferma di se' e delle proprie capacita' di produzione (autovalutazione e autocorrezione) ed e' solo all'esame finale che puo' mettere alla prova il proprio sapere e saper fare ed associare le risposte.
 Ci troviamo di fronte al deterioramento di quel modo di concepire la lezione che faceva prestigiose le universita' italiane medioevali. Qui si procedeva con un metodo di lezione in cui ad un primo apprendimento dell'argomento con gli assistenti si passava alla discussione vera e propria delle teorie in un confronto critico con il docente.
 Negli anni di cui si discorre, al contrario, il ricordo di una metodologia fatta di comunicazione efficace sembra essersi perduto lì dove il docente universitario ha sempre meno voglia di dare un'organizzazione compiuta alle sue lezioni fissando le mete da raggiungere ed i percorsi da seguire (assenza dichiarazione di obiettivi).
 Si procede, invece, sui binari del pressappochismo e della superficialita' nella didattica salvo sporadici casi di professori coscienziosi e volenterosi.

4. IL MOVIMENTO STUDENTESCO DEL '77

 Il tipico studente di questi anni proviene per lo piu' dal ceto medio (lavoratori autonomi, artigiani e commercianti) ma, fatto nuovo rispetto al recente passato, esiste una forte componente confinante con il proletariato ed un consistente 20% di vero e proprio proletariato (agricoltori e operai).
 Molto spesso questo universitario non riesce a frequentare i corsi non avendone la possibilita' economica e si sente gia' escluso ed emarginato dalla stessa realta' universitaria. A volte si tratta di giovani meridionali magari iscritti presso le grandi universita' del nord Italia, che si sentono frustrati dalla quasi certezza di non riuscire un giorno a trovare lavoro.
 Essi sono delusi nelle aspettative e vedono nell'universita' un'area di parcheggio, un modo per posticipare l'entrata nel difficile mondo del lavoro che sembra riservare loro ben poco.
 Questo modello - tipo di studente, poco abbiente e spesso non frequentante, diventa il protagonista del movimento studentesco del '77 che ha connotazioni ed esprime bisogni diversi rispetto a quelli di 9 anni prima.
 Mentre il movimento studentesco del 1968 era espressione e trovava la sua guida in una élite di studenti benestanti, di grande cultura familiare, fortemente ideologizzati, che esprimeva la propria ribellione contro ogni autoritarismo, il movimento studentesco del 1977, invece, e' composto da giovani che provengono dai gradini piu' bassi della societa', spesso di origine proletaria che non riescono a vivere appieno la stessa realta' universitaria.
 Il loro interesse e' che il prezzo dei libri non aumenti e le loro richieste consistono nell'avere un'universita' che gli fornisca una cultura come richiesta dal mercato del lavoro che, in definitiva, sappia assicurargli una degna collocazione nel mondo del lavoro.
 Questi giovani diffidano della cultura e della ideologia che in passato hanno ingannato e vogliono solo potersi preparare al meglio per inserirsi in una societa' che fa paura e non da' certezze.
 

5. LA CONTROINFORMAZIONE (comunicazione antagonista)

 Gia' nel 1968 i giovani non sono piu' disposti a far parlare di se' i tradizionali mezzi di comunicazione (RAI-TV, settimanali, quotidiani) i quali sembrano non comprendere le loro richieste e distorcere le loro verita'.
 I Mass-media, che utilizzano "canali ufficiali" non possono e non sanno ben rappresentarli, pertanto i giovani scelgono di diventare essi stessi produttori di comunicazione.
 Si fa strada, cosi' un'informazione alternativa rispetto a quella istituzionale che all'inizio si limita ad utilizzare mezzi economici e rudimentali quali, per esempio, fogli ciclostilati, volantini o addirittura, semplici scritte spray sul muro.
 Alla fine degli anni '60 questa informazione diventa piu' completa grazie anche all'utilizzazione di radio private libere il cui numero e' diventato vertiginoso nell'ultimo decennio oppure all'utilizzazione del mezzo stampa con un pullulare di nuove testate alcune delle quali riusciranno pure a finire in edicola.
 Piu' spesso invece, si tratta di foglietti improvvisati di poche pagine e prodotti a costi contenutissimi che nascono muoiono o si trasformano anche nel giro di pochi giorni.
 Proprio alla fine degli anni '70 si sviluppa, grazie soprattutto a questi quasi artigianali mezzi di comunicazione, una vera e propria cultura del dissenso fatta di informazione "alternativa" a quella dei mezzi ufficiali in cui i giovani esprimono liberamente se stessi.
 Basta, infatti, telefonare ad una radio libera, in cui vengono riservati appositi spazi all'ascoltatore, per dire la propria opinione o bastano poche lire per produrre ciclostili o volantini.
 Il fiorire di radio e giornalini risponde ad un unico criterio informativo di partenza: il rifiuto di farsi rappresentare da altri e la precisa volonta' di parlare direttamente per se stessi secondo lo slogan "l'immagine e' mia e me la gestisco io".
 I giovani dunque si riappropriano della propria individualita' e della propria voce diventando i protagonisti di un'epoca ed i fautori di una comunicazione cosiddetta antagonista.-
 
CONCLUSIONE

 L'insegnamento tradizionale non è più  idoneo e utile alla formazione del discente perché non sa stimolarlo, interessarlo e generare in lui un apprendimento significativo (capacità di problem - solving).
 Il docente non può far di sè il protagonista assoluto della lezione in cui esprime la sola capacità oratoria ("la bella lezione" del De Bartolomeis) ma, al contrario, deve sapersi far guida e strumento di formazione rendendosi autore di una comunicazione continua e di scambio con il suo interlocutore-discente.
 Il discente ha, infatti, necessità di una verifica costante del suo apprendimento e della sua capacità di "sapere e saper fare" , di organizzare idee e dare risposte (autovalutazione).
 I limiti dell'insegnamento tradizionale della scuola e della università italiana degli anni '60 e '70 sono proprio in questa assoluta passività cui è relegato il ruolo del discente, in questa inadeguatezza a dare risposte al nuovo "sentire" dei giovani, in questo esasperato protagonismo e autoritarismo dei docenti.
 Oggi la scuola italiana si sta orientando verso l'acquisizione di una nuova mentalità e l'assunzione di nuovi modelli per procedere con organizzazione e metodo.
 E', infatti, impensabile che il docente proceda senza una sistematicità e con superficialità e pressappochismo metodologico perché solo col metodo può assicurare creatività e libertà nei soggetti dello stesso processo didattico e della comunicazione educativa.-
 
 

BIBLIOGRAFIA
 

M.Monicelli -  "L'ultrasinistra in Italia 1968-1978" - Laterza, Roma,1978.

De Bartolomeis - "I metodi nella pedagogia contemporanea" - Gianasso, 1958.

M.Mazzotta - "Come organizzare la lezione - schemi modello di lezione collettiva e di comportamento docente" - Giunti-Lisciani, 1987.

F.Dubla - "Introduzione al ruolo del formatore militare" Taranto,1996

F.Dubla - "Metodo come creatività e liberazione", Taranto, 1996



 

Informazioni  a:
dubladidattica@tin.it

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