DIDATTICA: Materiali
 

INTEGRAZIONI PEDAGOGIA ITALIANA
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Una lezione su Gramsci e un contributo della pedagogia italiana del Novecento

[appunti di una lezione svolta dal prof. F. Dubla il 26 marzo 2002, su un possibile contributo della pedagogia italiana (nonostante il limite culturale dell'idealismo gentiliano) che, attraverso Gramsci,  oggi può difendere la didattica dalle mode e dal formalismo tecnicistico]

Appunti raccolti dall'allievo Ciro Florio, nell'ambito del 15° corso P-Mrs, marzo 2002 ********************************************************************

Avvertenza: abbiamo lasciato appositamente la forma degli appunti, scontando in scientificità ma forse acquistando in semplicità e immediatezza propri del discorso didattico. Ci scusiamo per le imprecisioni e qualche eccessiva libertà sintattica.

Periodo storico

Il periodo storico è il '900, in cui era presente in diverse parti del mondo, il diffondersi dei metodi attivi quali l’attivismo pedagogico di J.Dewey  che attraversa la fine dell’800 fino alla metà del '900, lo stesso C.Freneit (le tecniche), Ferrière e i suoi punti del B.I.E.N (1925), poi successivamente Piaget che attraversa quasi tutto il '900.

Innanzitutto diamo una definizione del metodo attivo: è quel modo di procedere, che si avvale di determinate tecniche funzionali, del processo di educazione in quanto formazione,  in cui l’individuo da educare è parte attiva e responsabile della formazione  della propria  personalità sia dal punto di vista intellettuale che sociale, rispettando al tempo stesso i suoi bisogni in quanto interessi, e la sua libertà.

In questo periodo la pedagogia italiana ha un profondo limite culturale in quanto dall’anno 1921 (marcia su Roma) c’è il fascismo (regime compiuto dal 1926) che influenzerà in modo determinante la storia della pedagogia italiana, attraverso la figura del Ministro della Pubblica Istruzione G.Gentile che è stato l’autore della più importante riforma scolastica in Italia (1923) dopo la legge Casati del 1859.

Ricordiamo che la legge Casati è entrata in vigore prima dell’Unità d’Italia, l’elemento più importante è stato l’obbligo  della scuola elementare.

Gentile  muore giustiziato nel 1944 per mano di alcuni partigiani a Firenze, prima della liberazione dell’Italia dal nazifascismo.

Gentile era un filosofo idealista, un tipo di impostazione filosofica che in qualche modo dà la priorità alle idee, all’astrazione della teoria, rispetto alla pratica, siamo quindi all’opposto rispetto al pragmatismo alla Dewey.

In Italia c’è questo limite culturale dell’idealismo gentiliano, che organizza la scuola italiana in maniera coerente con la sua impostazione filosofica del tipo dualistica e classistica per cui divide le scuole superiori in :

 

  1. licei (Classico, Scientifico);
  2. gli istituti tecnici (per i ceti medi);
  3. gli istituti magistrali (per maestri elementari);
  4. le scuole magistrali (per educatrici delle materne);
  5. l’istruzione professionale (affidata al Ministero dell’Economia e del Lavoro) che  vengono a formare la manovalanza, la forza lavoro.

 

I licei dovevano sfornare i futuri dirigenti, in quanto trattavano le materie umanistiche, la classe intellettuale che doveva avere le chiavi del sapere di cui gli altri non avevano l’accesso.

  Per quanto riguarda la pedagogia dei maestri, abolì il tirocinio, la fase pratica, in quanto non credeva, il Gentile, nei metodi e nelle tecniche: il metodo non è nulla, le tecniche non sono nulla, ciò che conta è ciò che viene espresso  direttamente nel rapporto tra il maestro  e l’allievo, cioè l’identificazione tra maestro e allievo, gli allievi devono identificarsi con il maestro e il maestro deve avere tutte le libertà di insegnamento possibili per instaurare un rapporto diretto di identificazione con i propri allievi perché il maestro incarna lo spirito assoluto  e quindi gli allievi devono conquistare questo spirito, e identificarsi con  questa filosofia di Gentile.

Il maestro come autocoscienza del processo storico dello spirito umano.

Cos’è lo spirito?  Tutto ciò che la tradizione culturale ha incarnato, il sapere come tradizione culturale, un patrimonio di conoscenze che possiamo dire tradizionali, quella che è considerata l’arte dello spirito, lo spirito che si incarna nel sapere, nella filosofia ancora oggi vengono considerati alcuni aspetti  della filosofia di Gentile, quello che si contesta a Gentile  fu l’uso politico  della sua filosofia, l’uso sciagurato , Gentile  si mise d’accordo anche nella parte finale dopo l’8 settembre aderendo alla Repubblica di Salò (1943), sarebbe stato  salvato  se dopo l’8 settembre si fosse in qualche modo dissociato per le sue responsabilità dal  regime.

Quando si parla di libertà di insegnamento da parte dei docenti è un paradosso perché è una libertà vigilata: infatti, il regime, su proposta di Gentile, chiederà agli insegnanti di giurare fedeltà al  partito nazionale fascista per poter esercitare la propria professione, quindi è una libertà molto ma molto limitata, solo 12  professori universitari su 1200 non firmarono l’adesione, questi dodici persero la cattedra, tra i rettori universitari che si opposero, l’unico fu il rettore dell’Università di Padova Concetto Marchesi, illustre italianista che perse il Rettorato. Quando si parla di libertà bisogna stare ben attenti….

Nel 1938 saranno approvate le leggi razziali e in Italia  ci sarà un manifesto di intellettuali asserviti al regime che sostenevano che gli italiani erano anche loro di “razza ariana”.

  Lombardo Radice (1879-1938)

  Uno dei collaboratori di G.Gentile fu il catanese Giuseppe Lombardo Radice, amico di G. Gentile, era un maestro che cercava attraverso le sperimentazioni didattiche di innovare in qualche modo i metodi scolastici.

Egli diventò Direttore delle Scuole Elementari d’Italia, carica di prestigio ed efficace in quanto poteva intervenire direttamente tramite la riforma Gentile sull’organizzazione della scuola elementare riuscendo a mitigare lo stile autoritario di G.Gentile.

Lombardo Radice, dopo il delitto Matteotti nel 1924, rinuncia all’incarico in quanto considerò inconciliabili le modalità politiche che il regime fascista  stava sviluppando, con le sue elaborazioni pedagogiche e si ritira in Sicilia dove continua a sviluppare delle innovazioni didattiche tanto che Lombardo Radice oggi è considerato come  colui che ha introdotto in Italia i metodi attivi con la sua infaticabile passione.

Muore nel 1938 e non riesce a vedere la liberazione dell’Italia, la sua filosofia generale è considerata attraverso l’espressione della Scuola Serena a cui dette vita; è il tipo di scuola in cui veniva messa al bando la pedanteria, il fatto che i bambini non potevano muoversi dai banchi e dovevano accettare le nozioni che venivano loro proposte.

Lombardo Radice riesce a parlare a questi bambini, provenienti dalle classi popolari contadine, attiva la  Scuola Serena, in cui non ci sono tensioni, non c’è selezione, ma formazione; secondo Lombardo Radice la scuola deve formare tutti, la pedagogia popolare significa proprio che l’educazione scolastica deve mirare all’apprendimento  di tutti indistintamente, per formare la personalità e introduce questi metodi che possono essere considerati attivi proprio perché studia  Dewey e quindi studia anche come Dewey negli USA stava cercando di strutturare le scuole nuove basate sulla democrazia come valore imprescindibile per la formazione della personalità umana.

La scuola serena  è sfiducia nei metodi prefabbricati, è interesse aperto a tutte le esperienze, sì all’innovazione didattica, è senso concreto di ogni forma di istituzione educativa, pur nell’ambito della filosofia idealistica di stampo gentiliano.

La pedagogia del Lombardo Radice critico del fascismo, contiene una novità importante, la critica didattica, oggi può essere definita il bilancio critico della esperienza didattica come punto fondamentale dell’esperienza metodica, così come il metodo scientifico anche la didattica può essere definita scientifica se pur probabile come scienza non esatta , la critica didattica è quell’esercizio di bilancio critico dell’esperienza che è molto presente nel Lombardo Radice e che costituisce per l’Italia una grande innovazione.

La scuola serena intesa anche come  scuola esperienza in particolare siciliana dove veniva fatta combaciare con la poesia quindi la creatività pura applicata al linguaggio e alla emozione dei sentimenti, le sollecitazioni dello stato educatore al confine tra uno stato che si occupa troppo diciamo delle iniziative individuali ma anche una sensibilità nei confronti dell’iscrizione gratuita per tutti, la scuola popolare, lo stato non deve abbandonare i suoi figli, lo stato deve dare a tutti la possibilità di essere educati tutti.

Cosa è rimasto valido oggi di Lombardo Radice?  Resta valido l’appello rivolto al maestro che sia serio nel suo compito, la sfiducia dei metodi prefabbricati, l’interesse aperto per tutte le tecniche, da una parte le critiche al formalismo didattico, alle mode, però dall’altra anche una sensibilità verso l’innovazione didattica; quella “poesia” che egli voleva nella scuola deve restare, anche se non proprio per le ragioni adottate dal Lombardo Radice, nei sentimenti, quella componente psicologica, quelle emozioni, quella relazione che si deve stabilire tra insegnante e i suoi allievi e ovvia con le abilità a una teoretica generale molto debole, labile; la filosofia di base è un limite serio che si riscontra nella ristretta applicabilità poi dei criteri concreti operativi del Lombardo Radice nella scuola della città, nella scuola metropolitana; Lombardo Radice ha presente la scuola di campagna a contatto con la natura circostante, i figli dei contadini. Egli raggiunge comunque dei risultati straordinari.

Lombardo Radice liberale, è la forma migliore dell’idealismo, l’anima più pratica e passionale: pedagogia è la consapevolezza dell’opera educatrice del sapere vissuto e svolto personalmente, è lo stesso impianto  del Gentile, ma indirizzato nella pratica, è il maestro che deve identificarsi con questo principio .

 

“Lezioni didattiche” del 1913 è l’opera più importante del Radice che gli ha dato una certa notorietà, in cui parla della collaborazione reciproca degli scolari, collaborazione di docenti (interdisciplinare), oggi proiettate   nella pedagogia contemporanea è la consapevolezza dell’agire educativo ed è la pratica che accompagna l’atto stesso di educare: noi ci facciamo maestri, è l’esperienza di insegnare, è la pratica pedagogica educativa che diventa maestra nel momento in cui  si incarna l’opera educativa  e del sapere che si ha alle spalle, insegnando a noi stessi  che sempre c’è chi valuta ciò che si sta insegnando.

La nostra cultura non è un corredo di nozioni, ma è indagine continua.

 

  Antonio Gramsci (1891-1937)

Antonio Gramsci, dal carcere scrive i “Quaderni dal Carcere”, e senza sposare i metodi attivi, cercò in qualche modo di coniugare  la tradizione culturale italiana con le nuove esigenze popolari che emergevano.

Gramsci, come Lombardo Radice, non vede la liberazione dell’Italia, muore nel 1937, la privazione della libertà (era  recluso nelle carceri fasciste) non gli impedì di elaborare tante riflessioni, teorie politiche e  filosofiche, nonché anche aspetti pedagogici abbastanza interessanti.

Gli scritti di Gramsci sono i “Quaderni dal Carcere”, egli scrive dal 1931 al 1934 poi si ammala gravemente, Mussolini   lo fa uscire dal carcere, però il fisico di Gramsci era molto compromesso e  muore nella clinica di Formia nel 1937.

Gramsci si pone criticamente nei confronti della riforma Gentile e la filosofia idealistica,  muovendosi in un’ottica politica completamente differente; mentre Gentile mirava alla formazione dell’élite di dirigenti, Gramsci era sensibile ma critico attento di una pedagogia che da Freinet in poi si dovrebbe chiamare “popolare”, l’esigenza che era già di Edmondo De Amicis con il libro “Cuore”, esigenza di istruire le classi popolari, di una scuola non selettiva ma formativa (“Cuore” viene scritto nel 1886, molto legato al Risorgimento, alla figura dei patrioti risorgimentali, però la filosofia complessiva del libro era anche quella che anche le classi popolari possono affrancarsi dalla servitù delle loro condizioni con l’istruzione, perché istruzione è una delle ricchezze che dà le chiavi anche per la  emancipazione personale e collettiva.)

 Anche Lombardo Radice per Gramsci ha una impostazione molto limitata per il suo punto di vista idealistico.

Per Gramsci la scuola deve tendere al cosiddetto pensiero creativo, è quello che permette di raggiungere l’emancipazione,la creatività e l’autonomia morale dell’allievo che sarà cittadino, lavoratore, professionista.

L’autonomia morale è del soggetto che sceglie e non si fa scegliere attraverso il conformismo sociale, significa anche autodisciplina intellettuale, non disciplina esteriore; quando si conquista l’autodisciplina intellettuale si conquista il pensiero creativo e l’autonomia morale si diventa cittadini, lavoratori che hanno una coscienza del proprio ruolo sociale, la scuola deve tendere a questo cioè a creare dei cittadini, lavoratori , oggi diremmo dei soggetti che  non hanno più bisogno di un adeguamento sociale ma hanno operato delle scelte in quanto capaci, sono stati portati a questo  dalla scuola, dall’istruzione ricevuta a operare scelte morali, quindi valori etici, colgono l’obiettivo strategico del pensiero creativo.

  Come si conquista questo? Con i metodi e le tecniche?

  Non  pensate di poter conseguire questo tipo di obiettivo importante attraverso le metodiche,ma con duro sforzo e sacrificio!

Prima di arrivare al pensiero creativo bisogna attraversare il pensiero dogmatico, perché per poter contestare devo prima conoscere, pensiero dogmatico è tipico dell’infanzia, quindi conformismo (oggi chiamato apprendimento di tipo meccanico- vedi Ausubel in un altro ambito di studi) necessario per abituare all’adattamento sociale, e alla disciplina.

  Il pensiero dogmatico è un automatismo anche se noi non volessimo, la società in cui vive il bambino è quella in cui viene  condizionato comunque dal folclore e dal senso comune ( folclore usi costumi, tradizioni, ambiente)(senso comune è il pensiero che domina in quel momento storico, politico ecc) , Gramsci dice anche che il senso comune è nemico del buon senso, quindi per arrivare a contestare, dobbiamo passare, come ha fatto l’umanità dal pensiero dogmatico, il folclore e il senso comune e superarlo  con duro sforzo e sacrificio e la disciplina, poi dice che tutte queste mode che i bambini lasciano i libri in base all’interesse ,al bisogno , ma li educhiamo alla disciplina? Anche esteriore all’inizio, perché senza disciplina esteriore non sarà capace di raggiungere l’autodisciplina intellettuale e l’autonomia morale.

Gramsci riesce a  prospettare una traccia di lavoro che infatti dopo la liberazione sarà il filone più fecondo della pedagogia.

Il cammino pedagogico sarà liberarsi dal dogmatismo incrostato di folclore e di senso comune, bisogna conoscere ma non bisogna condividere acriticamente. Dal conformismo per avviarsi all’autodisciplina intellettuale e appunto all’autonomia morale, obiettivo strategico di ogni tipo di pedagogia senza schematismi e senza facilonerie il lavoro dell’apprendimento è un lavoro duro, faticoso e necessita di sforzo ed impegno sociale, è un  itinerario dialettico didatticamente rivolto alla libertà e all’uguaglianza sociale.

In una lettera alla moglie Giulia egli immagina come l’uomo moderno dovrebbe essere una sintesi di quelli che vengono ipotizzati come caratteri nazionali : l’’ingegnere americano, il filosofo tedesco, il politico francese ricreando per così dire l’uomo italiano del Rinascimento, il tipo moderno di Leonardo Da Vinci, divenuto uomo massa, pur mantenendo la sua forte personalità e originalità individuale.

In altre parole, il Gramsci, uscendo da  nobili quanto vaghe aspirazioni, imposta l’umanesimo come contempenetrazione dei valori dell’uomo con le esigenze dell’industrialesimo moderno, in modo però da rompere il carattere unilaterale della passata cultura, patrimonio-proprietà di pochi privilegiati, staccata dal popolo- nazione, per realizzarla su di una base di maggiore partecipazione.

È questa la forma di quello che è stato chiamato “umanesimo assoluto”, ma al tempo stesso finito e positivo, storicizzato, che porta anche Gramsci ad allargare il suo discorso dalla educazione alla società.

In Gramsci è tuttavia ben presente la notazione della esistenza della crisi della scuola, crisi della riforma Gentile del 1923, che, lungi dal risolvere, aveva a suo giudizio, acuito, perchè pretendeva di mantenere in vita una tradizione educativa che non aveva più rispondenza con la vita  e con le esigenze tali della società; non solo, ma aveva come istituzionalizzato la frattura fra la scuola e la società e, rispetto alla legge Casati, aveva compiuto addirittura un passo indietro. Infatti secondo Gramsci, la scuola come era stata organizzata dalla legge Casati del 1859 aveva un’efficacia formativa che non era tuttavia da ricercarsi in una espressa volontà di essere tale, ma nel fatto che rispondeva ad un’espressione di tipo tradizionale di vita intellettuale e morale ed ad un clima  culturale diffuso nella società italiana. La stessa scuola tecnica istituita dalla legge Casati, rispondeva a criteri di modernità, legata come era almeno dai migliori esempi  all’economia moderna ed alle esigenze dello sviluppo industriale allora incipiente. Inoltre se pur non andava esente da difetti, essa era stata concepita con democraticità: una scuola di cultura generale che non precludeva l’accesso agli studi superiori. Semmai furono le modifiche apportate successivamente alla stessa legge Casati, che trasformarono questa scuola tecnica in senso nettamente antidemocratico e antipopolare. La riforma Gentile  continua essenzialmente su questa strada, non solo, ma accentua oltre misura la distinzione fra educazione ed istruzione che è distinzione impossibile ed assurda, perché presuppone il discente come mera passività, come un meccanico recipiente  di nozioni astratte, il che del resto era negato dagli stessi sostenitori della pura educatività contro la mera istruzione meccanicistica, dato che i nuovi programmi affermavano e teorizzavano l’attività del discente e la sua collaborazione.

  Ernesto Codignola (1885-1965)

Filosofo e pedagogista italiano liberale, della stessa corrente politica di Lombardo Radice, diventò laico-socialista dopo la liberazione.

Ernesto Codignola  collaborò con il Gentile alla riforma scolastica, si muove anche lui dall’orizzonte idealista, ma dopo la liberazione è colui che portando in avanti il discorso della Scuola Serena  di Lombardo Radice, introduce coscientemente stavolta in maniera diretta i metodi attivi, fonda una scuola a Firenze, la scuola Pestalozzi richiamandosi al  famosissimo pedagogista svizzero della scuola di Ginevra della fine del ‘700, che ancora oggi è a Firenze e che attiva all’interno i metodi dell’attivismo pedagogico; fonda anche la casa editrice “La Nuova Italia” che avrà una funzione culturale importantissima per la diffusione dell’ opere pedagogiche a livello internazionale.

Una delle sue opere più importanti “Avviamento allo studio della pedagogia” (1938) rappresenta un  passaggio  tra la filosofia idealista  liberale a quella più avanzata dal punto di vista progressivo.

Codignola si rende conto in quegli anni problematici che bisogna tendere a superare i limiti posti dall’idealismo anche se rimane idealista , condivide una serie di elementi filosofici dello stesso Gentile però si rende conto che l’innovazione didattica è necessaria per rivitalizzare la scuola in particolare per rispondere ad una domanda fondamentale:

  l’istruzione è per pochi o per tutti?

Questa era la domanda che attraversava tutta la pedagogia a livello mondiale, lo stesso J.Dewey si domanda, la scuola deve selezionare o deve formare?

Perché se la scuola deve selezionare allora  non è per tutti  ma è per pochi!

Quindi  se la pedagogia è per tutti e l’istruzione deve formare c’è bisogno di una pedagogia popolare.

Codignola è nemico della pedanteria scolastica, del costringere in qualche modo al conformismo sociale.

Sia Lombardo Radice che Codignola continuano a rimanere molto distanti dalle esigenze metodologiche che pur si avvertono nella conoscenza delle opere di Dewey, Ferrière, Claparède, in quanto, muovendosi dalla riflessione di Gentile per cui i metodi e le tecniche non sono niente e invece tutto è nell’identificazione dello spirito tra maestro e allievo, poneva questi autori anche loro nella condizione di considerare metodi e tecniche come perfettamente inutili, come quando Codignola li definisce dannosi  nell’ “Avviamento allo studio della pedagogia”.

Codignola su questo fa un esempio: Comenio, l’iniziatore della didattica moderna nel ‘600, dice che i metodi devono essere come gli orologi meccanici, allora gli orologi meccanici erano una novità, fa questo paragone per dire che anche l’istruzione deve essere regolata come un orologio meccanico, ci devono essere delle regole, dei metodi e delle tecniche applicate.

Ma Codignola scrive ad un certo punto, mentre Comenio pretende che l’istruzione sia regolata come un orologio meccanico non si rende conto che la vita non è un orologio meccanico e non può essere regolato da nessun intervento, il tempo dello spirito non è computabile; l’esigenza metodologica  veniva allontanata, Codignola era d’accordo nell’ abolire il tirocinio magistrale,  inutile perché è come tu imposti il rapporto, riecheggiando molto le impostazioni filosofiche di G. Gentile, è come tu imposti la relazione diremmo oggi tra istruttore e allievo, il non  detto è più importante di quello che è detto, la comunicazione non verbale è più importante di quella verbale, ma i contenuti sono importanti perché solo attraverso i contenuti c’è la conoscenza,dunque al bando metodi ed esigenze metodiche!

Codignola, dopo la liberazione (1945) si impegna nell’attuazione dei metodi attivi, nell’istituzione della scuola Pestalozzi a Firenze, dove oggi  c’è anche un museo.

Dall’analisi del testo “ Avviamento allo studio della pedagogia” in riferimento all’esigenza del metodo, si domanda:

da quali esigenze nasce il problema del metodo didattico, quali principi devono guidare l’insegnamento?

Questa è stata la preoccupazione di pedagogisti fino al 1600 quando le ricerche (si riferisce a Comenio)  sui nuovi metodi scientifici  di fisica e matematica avevano spinto a ricercare un metodo naturale che indicasse per l’istruzione una strada breve e giusta, uno degli obiettivi pedagogici di sempre.

Le regole didattiche devono derivare dall’intelletto, scrive Codignola , dalla memoria, dai sensi, in sintesi diremmo oggi, dalla struttura cognitiva. Sensazione, percezione, analisi dall’interno dell’uomo in definitiva e dalle lingue,  dalle scienze e dalle arti.

La preoccupazione del metodo investe i primi organizzatori degli istituti magistrali che pensano a preparare  i futuri insegnanti con uno studio didattico professionale, il Codignola non è d’accordo, perché allora condivide Gentile in questo, il tirocinio non va bene, perché ingloba in delle regole  costrittive qualcosa che deve essere libero e creativo.

Nella relazione che accompagnava la legge di istituzione a Parigi della prima scuola normale, si affermava che non si sarebbero insegnate le scienze ma l’arte di insegnare, cosa che si dice ancora oggi  quando non si fa attenzione alla didattica dei contenuti ma a quella metodica. Codignola si domanda, che cosa bisogna insegnare? le scienze?  Ma l’arte di insegnare che cos’è ? Cosa bisogna insegnare?

A Parigi credevano che saper condurre l’intelletto degli altri come il proprio fosse un problema del metodo, questa era l’idea della cultura del tempo basato sul concetto di legge fisica matematica del naturalismo, già qualche anno prima in Italia , Giuseppe II aveva istituito la scuola di metodo che preparava i futuri insegnanti e nel 1884 la 1° cattedra di pedagogia era chiamata scuola superiore del metodo.

Nel 1859, scrive Codignola, la legge Casati organizza la preparazione dei maestri anche come preparazione tecnica metodica, compito che la pedagogia si porterà fino alla riforma del Gentile del 1923 che riformerà il tutto eliminando il metodo.

Si trasforma così l’insegnamento filosofico che si acquisisce con la lettura dei classici del pensiero.

Quello che ha omesso di   sottolineare il Codignola nel 1938 è che questo tipo di scuola era soltanto per alcuni, cioè quelli che appunto erano i figli dei ceti abbienti, perché potevano permettersi i licei o i gesuiti o gli istituti privati, le scuole che formavano l’élite.

Ancora oggi noi in Italia facciamo i conti con la riforma Gentile, nonostante le riforme della scuola media inferiore del 1962 e della scuola elementare del 1991, specie per la necessaria ristrutturazione degli studi superiori c’è da superare una filosofia che al fondo è  ancora quella della riforma Gentile, magari sposata con delle presunte ‘innovative’ ma pericolosissime filosofie aziendalistiche e mercantilistiche che peggiorerebbero addirittura l’impianto gentiliano. In questi anni il nuovo è emerso dalle sperimentazioni dello stesso corpo docente, non a caso cioè da quei coraggiosi tentativi che sposano il filo e il legame che intercorre tra Lombardo Radice, Gramsci ed Ernesto Codignola.

  CONCLUSIONI

La pedagogia italiana, grazie a Lombardo Radice, Ernesto Codignola, Antonio Gramsci ha indicato una traccia di lavoro feconda a livello internazionale ancora oggi.

Le conclusioni positive, proprio attraverso Gramsci,  è che il limite culturale italiano è diventato paradossalmente invece una difesa dalle mode didattiche.

Questo limite culturale, attraverso il filtro di Gramsci  ma anche di Codignola, si è trasformato in una critica alle mode didattiche farcite di tassonomie, di obiettivi performativi, quelle secondo le quali  i contenuti sono indifferenti, ciò che conta sono i metodi e le tecniche da impiegare,  tutti i contenuti vanno bene, basta inserirli attraverso metodi adeguati e tecniche adeguate.

I metodi e tecniche possono aggregare, possono essere di supporto, possono gratificare ma non possono sostituire i contenuti i  quali fra l’altro hanno una loro specificità, cambiano da disciplina a disciplina e l’analisi dei contenuti è fondamentale.

Quindi, sì all’innovazione didattica, alla esigenza del metodo,  applicazione di tecniche creative adeguate e non standard, ma attenzione alla centralità dei  contenuti e poi indichiamo senza infingimenti ciò che Gramsci chiamava il duro sforzo e sacrificio: tutti possono diventare emancipati  (il pensiero creativo, l’autonomia morale e l’autodisciplina intellettuale), ma l’emancipazione va conquistata  secondo una scala d’impegno progressiva e graduale.

Questo contributo della pedagogia italiana va incontro a questa esigenza, ossia  tutti devono avere una cultura generale di base per emancipare la propria personalità sia cognitiva che psicologica, scegliere e non farsi scegliere e così arrivare come alla specializzazione, anche alla libertà creativa e all’autonomia intellettuale.



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