DIDATTICA: Il presente come storia

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Il maestro non deve essere unico

Intervento di Luigi Guerra, preside della facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bologna

 

didaweb - 9-03-09

Il maestro unico è probabilmente la scelta più nota fra quelle contenute nei cosiddetti “Provvedimenti Gelmini”, che pure ospitano altre decisioni non meno eversive rispetto alla qualità della scuola italiana. Si tratta di una scelta effettuata prima di tutto per risparmiare, lo ha dichiarato espressamente lo stesso Ministro, ma per la quale si sono poi ricercate alcune motivazioni “pedagogiche” al fine di renderla meno rozza e tentare perfino di farla diventare accattivante. La più consistente, fatta propria dallo stesso Presidente del Consiglio, riguarda la necessità di fornire un punto di riferimento educativo “certo” e appunto “unico” agli studenti e alle loro famiglie che risulterebbero frastornati dal dover interagire con un team di docenti articolato e, per di più, a rischio di non essere sempre univoco nei comportamenti pedagogici e didattici.
Decisioni successive, derivanti dalla forte reazione ai provvedimenti ma anche dalla insipienza amministrativa dell’attuale gestione ministeriale che appare specializzata nel fare scelte tecnicamente irrealizzabili, hanno messo in discussione quanto già legiferato sul maestro unico. Quest’ultimo appare oggi collocato in una non ancora chiara pluralità di modelli, con la possibilità che i maestri siano due, tre o ancora di più. Inoltre risbuca nelle parole del Ministro e dei suoi colleghi il concetto di maestro “prevalente” (quindi non più “unico”, ma collega di altri maestri meno importanti) introdotto a suo tempo nel dibattito sulla riforma della scuola dal Ministro Moratti.
Difendere o anche solo argomentare sul piano pedagogico l’operato del Governo su questo tema (come peraltro su tanti altri) appare una missione impossibile. Va affermato con chiarezza che la scelta del maestro unico a chiunque si interessi di educazione appare essere un’enorme sciocchezza. Probabilmente lo era anche nel passato (nonostante le affermazioni fatte perfino su “La Repubblica” da alcuni saggi incompetenti, come Citati e Pirani), ma lo è di sicuro oggi.
E’ una sciocchezza innanzitutto a fronte della qualità della competenza disciplinare richiesta all’insegnante, anche nella scuola primaria. Occorre sapere di più per insegnare agli allievi più piccoli di quanto non sia necessario sapere per insegnare a quelli più grandi. Solo una conoscenza approfondita degli argomenti di studio permette di non presentarli in modo nozionistico, di sostenere percorsi di conoscenza che passino attraverso l’attivazione di esperienze di ricerca e di creatività dell’allievo. E non si può di certo chiedere ad ogni singolo maestro di conoscere bene tutte le discipline…
E’ una sciocchezza sul piano della gestione sociale e relazionale della classe. I gruppi classe sono oggi più che mai caratterizzati da eterogeneità culturale e linguistica: vengono da situazioni familiari e sociali quanto mai diverse per abitudini quotidiane, scelte religiose, modelli educativi. Solo la presenza di più figure di docente può dare la possibilità di una conduzione veramente attenta alla realtà di ogni allievo, in un contesto che rimane comunque problematico. Il maestro unico non può essere una chioccia esclusiva per una covata così contrassegnata da elementi di diversità e specificità.
Infine, se si escludono le scelte individuali che concernono il piano della fede e non quello della ragione, parlare di “unicità” dei punti di riferimento quando si affrontano problemi educativi e culturali appare, oltre che una sciocchezza, una scelta autoritaria e non democratica. Il bambino ha diritto di crescere nella plurilateralità dei punti di vista, a scuola come in famiglia. Ha diritto a confrontarsi con più adulti che a loro volta si confrontano fra di loro. Ha diritto ad essere disintossicato dalla “unicità”, che si nasconde dietro l’apparente varietà dei messaggi della televisione e del mercato, facendo riferimento non ad una sorta di “direttore spirituale”, il maestro unico, che gli insegni il Vero, il Bello e il Buono, bensì ad un gruppo contenuto di docenti disponibili a programmare (con le ovvie difficoltà che questo comporta) percorsi di apprendimento e di socializzazione nei quali la chiarezza si incontri con la pluralità delle idee. Nei quali l’esigenza di non frastornare il bambino sappia comporsi armonicamente con quella di non chiudergli la mente.
Il concetto di maestro unico, sul piano pedagogico, fa solo rima con quello di pensiero unico, cultura unica, lingua unica. E tutto questo propone un futuro troppo ispirato ad un passato del quale non dovremmo mai smettere di vergognarci.




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