DIDATTICA: Materiali
 

INTEGRAZIONI GENERALI: METODI E TECNICHE-METODO COOPERATIVO E TECNICHE FREINET
********************************************************************

LA DEMOCRAZIA COME PRATICA DIALETTICA NELLE TECNICHE DI CELESTIN FREINET

(a cura del gruppo di lavoro corso P.MRS, coordinato dal prof. Ferdinando Dubla- cattedra di Metodologia della comunicazione formativa- esami maggio 2002, Fiori Raffaele, Ippolito Giuseppe, Stigliano Carlo)

  ********************************************************************

Celestino FREINET (1896 – 1966)

INDICE DEGLI ARGOMENTI

- CELESTIN FREINET: “La vita e le opere”                        

- LA PEDAGOGIA POPOLARE                                   

- LA COOPERAZIONE EDUCATIVA                               

- LE TECNICHE FREINET                                           

Ø     Fisionomia di una classe Freinet

Ø     Pensiero del Freinet

Ø     Il testo libero

Ø     Scelta del testo

Ø     L’organizzazione materiale della scuola

Ø     La tipografia scolastica, la corrispondenza interscolastica, le scatole di lavoro per esperimenti, schede progressive ed autocorrettive

Ø     Un ordine nuovo basato sui piani di lavoro

Ø     Il piano generale

Ø     I piani annuali

Ø     I piani settimanali


 

LA VITA E LE OPERE

Célestin FREINET, maestro e pedagogista, nacque il 15 ottobre 1896 a Garg, un paesino di montagna delle Alpi Marittime, da una famiglia di contadini. Frequentò la Scuola Normale e ne uscì nel 1915 con il diploma da maestro, ma richiamato alle armi nel 1916 fu ferito gravemente ad un polmone e trascorse quattro anni negli ospedali, destinato alla condizione di grande invalido di guerra, con diritto alla pensione massima. Rifiutò questa condizione e nel gennaio del 1920 fu nominato maestro nella scuola di Bar-sur-Loup. Quando Freinet fa la sua prima esperienza di maestro in un paesino di montagna, ha ventitré anni ed è reduce dalla guerra, con i polmoni lesi, il che inizialmente lo sollecita all’elaborazione di tecniche che gli permettano di «spolmonarsi meno». L’aula che lo accolse era simile a tante di quell’epoca: "banchi disposti in file rigide, predella per il maestro, attaccapanni fissati al muro, lungo i muri grigi qualche carta geografica della Francia, alcuni cartelloni murali del sistema metrico, simbolo d’immobilità e di silenzio”. L’ambiente malsano della classe impediva a Freinet di far scuola al chiuso e si accorse che le lezioni tradizionali affaticavano i ragazzi, quanto lui stesso.

Egli avvertì subito l’esigenza di modificare profondamente i contenuti e i metodi dell’insegnamento tradizionale: verbalistico, nozionistico, impartito uniformemente da un insegnante che domina la scena, sostanzialmente autoritario e repressivo anche se svolto con buona volontà e buone disposizioni. Quel modo di lavorare era un fallimento. Riprese a studiare e nel 1923 si laureò in Lettere, ma non accettò la nomina alla scuola superiore di Brignoles, deciso a rimanere nella sua scuola dei bambini. In quel periodo iniziò a partecipare a convegni e conobbe alcuni pedagogisti, come Ferrière, Claparède e Cousinet, ma si rese anche conto che se l’educazione nuova era applicabile nelle scuole che possiedono attrezzature e materiali, il problema rimaneva aperto per tutte le scuole diseredate, spoglie come la sua.

 

 Influenzato dalle correnti dell’educazione nuova che facevano capo a Claparède, a Ferrière, a Cousinet e alla scuola ginevrina, dell’Istituto Rousseau, ne accoglie l’ispirazione di fondo ma la trova troppo teorica e «sterilizzata», troppo legata a un’immagine dell’infanzia che non fa differenza fra il bambino benestante di città e quello povero e scalzo di molti paesini sperduti; per meglio dire, a un’immagine che non tiene conto del secondo e ritaglia tutto sulla figura del primo,  e decise di far scuola non per un’élite, ma per tutti.

Era il 1926 quando si riunì intorno a lui un gruppo d’insegnanti e tra questi Élise, la giovane maestra che fu sua moglie, ma anche un’impegnata collaboratrice per tutta la vita, occupandosi in particolare delle attività artistiche con la rivista "L’art enfantin". Nel 1928 viene fondata la CEL (Coopérative de l’enseignement laïc) che due anni dopo contava già oltre un centinaio d’insegnanti.

Nel 1930 si sposta con Élise nella scuola statale di Saint-Paul, una deliziosa cittadina con un nucleo vecchio (la città allora dei poveri) e  una parte nuova di ville (la città dei ricchi). Le idee innovative del giovane maestro, il suo attaccamento per la scuola laica, uniti alle pressioni da lui esercitate sul Sindaco perché l’edificio scolastico fosse decorosamente mantenuto, provocarono l’ostilità di una parte "bene" del paese. Arrivò poi un Ispettore e nel 1933 Freinet venne trasferito d’ufficio. Non accettò il provvedimento e si dimise dalla scuola statale Francese.

Aiutato dai lavoratori della zona che la domenica andavano, come volontari, a fare i muratori, costruì, in una collina di fronte a Vence, in mezzo alla natura, i primi edifici dell' École Freinet, scuola nata con laboratori, senza classi, un grande orto e molti spazi all’aperto per studiare e lavorare. Nell’autunno del 1935 la scuola è pronta per ricevere i primi bambini, tra i quali alcuni bambini spagnoli profughi.     

Nel 1939, scoppiata la guerra, Célestin Freinet venne arrestato e poi internato nel campo di Saint-Maximin. La scuola di Vence fu chiusa d’autorità ed Élise dovette fuggire fino a che, sotto il regime Pétain, l’attività della CEL cessò del tutto. In prigionia C. Freinet abbozzò le sue opere maggiori che terminò anni dopo. Liberato nell’ottobre del 1941, ma ancora sorvegliato speciale, si diede alla macchia e ben presto entrò in contatto con le forze della Resistenza.

Nel dopoguerra riprende, in continuo progresso, l’attività della CEL e della scuola di Vence. I congressi annuali vedono la presenza crescente d’insegnanti, con larghi consensi internazionali, nei paesi Europei, ma anche in Asia e in America latina, ecc. Negli anni che seguono cresce l’attività della Scuola di Vence e Freinet pubblica varie altre opere tra le quali "L’education du travail" 1946,       "Essai de psychologie sensible appliquée a l’education" 1950, "I detti di Matteo" (trad. ital. La Nuova Italia 1962), ecc.

Muore a Vence l’ 8 ottobre 1966, quando la sua scuola è ancora privata. Élise continua a dirigere l’attività editoriale e della scuola per altri quattro anni. Ora l’École Freinet a Vence è statale : i laboratori sono affiancati alle classi, il grande orto non è più coltivato e i segni del passaggio di grandi artisti nella scuola, da Picasso a Matisse, da Chagall a Braque, sono sbiaditi dal tempo. Ma l’eco di quella scuola non si è spento e "il movimento Freinet, rappresenta ancora la punta più avanzata della pedagogia democratica in Europa. Promosse congressi internazionali, su “L’Ecole Moderne” fino alla costituzione, nel 1958, del FIMEM (Fédération Internazionale des Mouvements de Ecole Moderne) con sede a Bruxelles. In Italia è stato creato nel 1951 il CTS (Cooperativa della Tipografia e Scuola) che nel 1956 si è trasformato nell’attuale MCE (Movimento di Cooperazione Educativa) che pubblica una rivista omonima e ha rappresentanti soprattutto a Firenze, presso “Scuola-Città Pestalozzi” creata da Ernesto Codignola, a Torino a Milano, Bari.

  LA PEDAGOGIA POPOLARE

La società nel Medio Evo non s'occupava affatto dell’ educazione dei figli del popolo, i quali imparavano empiricamente il mestiere paterno. Anche per i ricchi l’istruzione era per lo più di tipo professionale/pratico: aveva più lo scopo di abituare il futuro nobile e signore alla sua vita di guerre e di mondanità che di far maturare in lui l'uomo. Anche l'educazione era di tipo tradizionale. Solo quando i principi per governare cominciarono a servirsi della religione, si iniziò a parlare di educazione. Senza metodi e tecniche, si accompagnavano a questo tipo di educazione. Risalgono a questo periodo le prime scuole per il popolo, come quella di Ch. Demia, a Lione, istituita verso la fine dei XVII secolo. Ma anche in queste scuole l'istruzione è nulla: si tende solo alla "cristianizzazione" degli allievi. A partire dal XIX secolo, però, l'economia subisce una profonda trasformazione: da tradizionale ed empirica diventa scientifica. L'industrializzazione si va sviluppando e, con essa la Società. Se la scuola tenta una perfezione, è sicuramente per sviluppare l'essere umano, ad apprendere solo più nozioni, acquisendole in maniera diretta, senza obiezione, per favorire il progresso scientifico.  

"La pedagogia della cooperazione” sta alla base delle "tecniche di vita" ed è testimoniata ne "I detti di Matteo", un contadino a cui Freinet fa raccontare le sue idee educative. Eccone un brano.

La storia del cavallo che non aveva sete.

Un giovane cittadino voleva rendersi utile nella fattoria dove era ospite e decise di portare il cavallo all’abbeveratoio. Ma il cavallo si rifiutava e voleva condurre il cittadino verso il prato. "Ma da quando in qua i cavalli comandano? Tu verrai a bere, te lo dico io!" e lo tira per la briglia e lo spinge malamente. La bestia avanza verso l’abbeveratoio. "Forse ha paura -pensa il giovanotto- se l’accarezzassi...? Bevi ! Prendi..."Nulla da fare e il giovane urla : "Tu bestiaccia berrai " Il cavallo storce il muso e nitrisce, soffia, ma non beve. Arriva il contadino Matteo e gli dice : "Tu credi che un cavallo si tratti così. Ma lui è meno bestia di qualche uomo, lo sai? Tu puoi ucciderlo, ma lui non berrà. Tempo perduto, povero te!" "Come fare allora?"Si vede bene che non sei un contadino. Non hai capito che il cavallo non ha sete nelle ore mattutine e ha invece bisogno del’erba medica. Lascialo mangiare a sazietà e dopo avrà sete. Allora lo vedrai galoppare verso l’abbeveratoio. Non aspetterà che tu gli dia il permesso. Non si può cambiare l’ordine delle cose: se si vuol far bere chi non ha sete si sbaglia."Educatori, siete al bivio. Non ostinatevi nell’errore di una "pedagogia del cavallo che non ha sete", ma orientatevi coraggiosamente e saggiamente verso "la pedagogia del cavallo che galoppa verso l’erba medica e l’abbeveratoio. 

Per il Frèinet occorre una «pedagogia popolare» che riconosca validità culturale – almeno come dato di partenza – agli interessi infantili popolari, senza pretendere di esprimerli e sostituirli subito con gli interessi previsti dalla ricerca teorica e imposti dai programmi ufficiali. Ciò pone Freinet i primi problemi: «Come interessare Giuseppe alla lettura e alla scrittura che lo lasciano indifferente, mentre era interessantissimo, secondo le stagioni, alle lumache che custodiva vive nelle sue scatole mal chiuse, ai suoi insetti e alle sue cicale che cantavano nel momento meno opportuno?» - questo il suo punto di partenza.

Il giovane maestro decide allora di tagliar corto, mette da parte i testi e elabora delle “tecniche” pedagogiche (egli stesso insisteva sul termine, alludendo all’uso di nuovi strumenti operativi, diverso dal metodo, di solito astratto), fondamentalmente riducibili a tre: il «Testo libero», che sostituisce la tradizionale composizione in cui il bambino è costretto a svolgere un enunciato dettato dall’insegnante, invece di esercitarsi a esprimere correttamente ciò che in quel momento interessa più vivamente il singolo o la classe; il «Giornale Scolastico» (elaborato con il criterio del testo libero, è il prodotto della tipografia scolastica, di una tecnica volta cioè a saldare apprendimento, creatività e lavoro, attività manuale e attività intellettuale); il «Calcolo vivente», consistente nel motivare l’apprendimento e l’esercizio aritmetico partendo dalla soluzione dei problemi matematici posti dalla vita di classe; e la «Tipografia scolastica», - la più nota delle sue tecniche.

Ovviamente, queste tecniche, diversamente combinate, possono dare luogo ad altre soluzioni didattiche, rispondenti a diverse esigenze poste dall’ambiente e dagli allievi. Per Freinet è soprattutto importante che ognuna delle tecniche non solo impegni attivamente i soggetti, ma che le attività abbiano sempre sufficienti motivazioni: oltre che alle attività, consuete a ogni forma di educazione nuova (l’attività interessa di più, quindi fa apprendere meglio), Freinet dà molto rilievo all’aspetto comunicativo e cooperativo. Soprattutto il momento cooperativo qualifica la «pedagogia popolare», rielaborando egli in forma molto personale i presupposti simili della scuola del lavoro come l’aveva concepita la corrente d’ispirazione socialista, che sottolineava l’importanza del lavorare insieme come clima e come necessità tecnica. Da ciò, naturalmente, una linea pedagogica che fa a meno per quanto possibile dei libri, dei programmi e in genere della trasmissione di cultura già strutturata, per rifondare un processo d’apprendimento naturale, «a tentoni», come aveva già detto Claparède; simile all’apprendimento «per prove ed errori» dello psicologo Edward Lee Thorndike, 1874-1949), dove è necessaria la guida del maestro non meno di quella del gruppo dei «cooperatori».

LA COOPERAZIONE EDUCATIVA

L’eco della scuola Freinet non si è spento ed il Movimento Freinet rappresenta ancora la punta più avanzata della pedagogia democratica in Europa.

La pedagogia di Freinet fu ripresa in Italia nel 1951 da un gruppo di insegnanti primari e secondari, che prese il nome di Cooperativa della Tipografia a scuola, con lo scopo di diffondere gli strumenti per le tecniche Freinet. Dopo qualche anno però si trasformò nel Movimento di Cooperazione Educativa, occasione d’incontro e confronto fra esperienze didattiche comunque innovative. Poiché all’epoca, salvo che all’interno delle organizzazioni degli insegnanti cattolici (Associazioni maestri cattolici; Unione cattolica insegnanti medi; Movimenti dei Circoli della didattica, e altre), occasioni del genere erano molto rare per gli insegnanti di altri orientamenti, il Movimento di Cooperazione Educativa riempì un vuoto ed ebbe notevole successo: l’attività dei suoi gruppi decentrati, gli annuali convegni nazionali, la pubblicazione del «Bollettino di Cooperazione Educativa» (tuttora edito) furono uno stimolo molto valido per tenere viva una problematica didattica che allora gli ambienti ufficiali della Pubblica Istruzione, sembravano trascurare o addirittura reprimere, dando nello stesso tempo la prova che le metodologie didattiche non erano solo questione personale del singolo docente, ma frutto di sperimentazione e di confronto collettivo, e non si esaurivano nella conoscenza di ciò che andava insegnato e nemmeno nella conoscenza della natura del bambino o dell’adolescente, ma richiedevano anche una chiara idea delle finalità educative generali e quindi delle questioni sociali. Agli aderenti al Movimento di Cooperazione Educativa non era chiesto di dichiarare alcuna fede politica o ideologica né di compiere particolari scelte pedagogiche, ma semplicemente di cooperare al rinnovamento della didattica. 


LE TECNICHE FREINET

FISIONOMIA DI UNA CLASSE FREINET

Prima di parlare delle tecniche del Freinet bisogna parlare della fisionomia di una classe Freinet ovvero del concetto di una classe scolastica secondo la pedagogia dello stesso Freinet; una classe sicuramente differente dalle classi tradizionali.

Difatti le classi tradizionali, basate su regole uniformi e su una tradizione scolastica si somigliano tutte, nella disposizione dei banchi, nella presenza della cattedra, nel modo con il quale gli scolari tenevano i quaderni, nella pratica e nel contenuto dei compiti e delle lezioni, previsti in anticipo dai programmi, nelle circolari e nei manuali scolastici che li complicano e li aggravano.

  In questo contesto la parte del maestro e non meno quella dello scolaro risultano ridotte ciò però non toglie che in tale condizioni un buon maestro non possa formare una classe interessante; le virtù del maestro possono dunque sopperire alle difficoltà e limitare quindi gli errori di una pedagogia peggiorativa.

  L’originalità delle concezioni pedagogiche abbracciate dal Freinet non consistevano semplicemente nell’assegnare al ragazzo una parte attiva nella classe ma anche nel trasformarlo in elemento che agisce nell’acquisizione delle tecniche scolastiche. Il Freinet desiderava una scuola vivente, naturale continuazione della vita della famiglia, del villaggio, dell’ambiente, quindi ricerca di un metodo integrato alla vita; arrivò così alla scoperta della Scuola Attiva (in verità altri studiosi come il Ferriere avevano già dimostrato il valore della Scuola Attiva).

  Le classi Freinet si rassomigliano tutte nel loro fondamento, nel loro andamento generale e nel loro spirito. Ma, in quanto basate sulla vita del ragazzo nel proprio ambiente, si differenziano necessariamente, secondo questi ambienti e questi ragazzi. Possono paragonarsi a bei giardini che attingono in un ricco terreno la medesima linfa ma dove si sviluppano secondo la propria natura gli utili legumi, gli alberi generosi e i fiori della poesia e della bellezza, tanto necessari talvolta quanto i nutrimenti fondamentali.

  Affermava, inoltre, il Freinet che se un metodo d’insegnamento è buono deve dimostrarsi valido per tutte le classi e in tutti i luoghi; bastava variare certe pratiche legate al comportamento dei ragazzi secondo le classi e le necessità scolastiche. La libera espressione, la motivazione del lavoro mediante il giornalino scolastico e gli scambi, la creazione e la sperimentazione, i piani di lavoro, il lavoro di gruppo e la collaborazione sono valide tanto nella scuola materna che nelle scuole di 2° grado, sia per i ritardati che per le classi speciali post-elementari.


PENSIERO DEL FREINET:

“Non separare la Scuola dalla vita”; intento del Freinet era: “Superare la barriera che divideva la scuola dalla vita reale”.

Celestin Freinet individua delle pecche esistenti nella attività didattica tradizionale. Per il Freinet pecca sostanziale della lezione consiste nel fatto che la lezione è condotta dal maestro che sa, o pretende sapere, a scolari che si crede ignorino invece tutto. A nessuno verrebbe l’idea di pensare che i ragazzo, con le sue proprie esperienze e le sue diverse e larghe conoscenze, avrebbe anch’egli qualcosa da insegnare al maestro.

  Per il Freinet pecca, invece, del manuale scolastico è quella di stabilire nero su bianco, e per tutte le regioni, ciò che i ragazzi debbano imparare o fare. Il manuale apporta la scienza fredda, impersonale, anonima, anche se ci si sforza di riscaldarla artificialmente con procedimenti che ingannano solo gli educatori. Scienza che si rivolge non all’uomo ragazzo, ma allo scolaro che è di già un essere disincantato, che non reagisce più come ragazzo ma come scolaro.

  Dice il Freinet, prendiamo questi stessi manuali. Invece di munire gli scolari di una trentina di libri uguali per ogni materia, collochiamo questi libri – in esemplare unico – ed altri ancora, nella nostra “biblioteca di lavoro”, in modo da aver sottomano una più ampia documentazione, presentata con diverso spirito, e mutiamo la tecnica di uso dei libri. Tutto diventerà più razionale e più proficuo. Associamo i manuali a tutta la documentazione che potremo mettere a disposizione del ragazzo e il manuale potrà allora adempiere il suo compito umano e pedagogico.

Celestin Freinet nell’intento di superare la barriera che divideva la scuola dalla vita reale, iniziò col portare regolarmente gli alunni fuori dall’aula polverosa per farli vivere a contatto con la natura e con la realtà sociale. Su questa esperienza diretta egli ritenne di poter costruire una attività didattica alternativa rispetto a quella tradizionale. Gli alunni potevano sostituire in gran parte le loro osservazioni alle nozioni date dai libri di testo.

Il Freinet pensò allora di conferire dignità formale alle osservazioni fatte dai ragazzi, chiedendo loro di elaborarle in vario modo, “tecniche Freinet”. Si cominciava con le discussioni collettive su quanto si era visto. Poiché tutto questo doveva assumere un’importanza tale da poter sostituire il “libro di testo”, si procedeva allora alla stesura di quello che si andava via via dicendo. Scriveva il maestro sulla lavagna e i bambini scrivevano sul quaderno, oppure scrive il maestro a macchina. Diventava quindi un testo redatto collettivamente “tecnica del lavoro di gruppo”. Il quaderno non appariva più sufficiente a conferire un’adeguata importanza a quanto si elaborava.

IL TESTO LIBERO

Il testo libero fu la prima tecnica a cui approdò il Freinet, come vissuto che si vuole narrare, contro il tema obbligato e amorfo. Un testo libero, come indica il nome, è un testo che il ragazzo scrive liberamente, quando abbia voglia di scriverlo, e secondo il tema che lo ispiri.

Non basta dunque lasciare il ragazzo libero di scrivere, occorre ispirargli la voglia, il bisogno di esprimersi. Proprio per tale ragione il vero testo libero non può nascere e sbocciare che nel nuovo clima di libera attività della Scuola moderna.

  Bisogna che il ragazzo diventi sensibile alle motivazioni che gli rechiamo, che comprenda che ciò che ha da dire importa ormai alla sua vita, alla vita della comunità, nel cui seno deve ora svolgere una parte da uomo.

Questa presa di coscienza, che comprende dati individuali e collettivi, non potrebbe certo essere raggiunta attraverso spiegazioni, per quanto eloquenti. Anche in questo caso l’esperienza della vita sarà decisiva.

  Per quanto riguarda sempre il testo libero Freinet sosteneva: se rimproverate troppo il ragazzo perché ha scritto male, perché non ha riletto le sue frasi, scelto le sue parole, se, per finire, gli apponete un voto o un giudizio che, d’un tratto, raffreddi il suo entusiasmo, l’incanto è rotto. Con tali pratiche è possibile forse ottenere diligenti compiti scolastici, ma non certo testi liberi. Dovremo ben guardarci dallo scoraggiare il giovane autore rimproverandolo dicendo: “impara a scrivere prima di voler comporre una frase”; ma al contrario “va benissimo, vedi ho capito cosa hai voluto dire”; “ora sai scrivere”; immancabilmente il ragazzo farà progressi, attraverso tentativi sperimentali e attraverso l’uso che noi faremo di questi scritti, progredirà ancora più rapidamente se avremo la possibilità di sederci ogni tanto accanto a lui, per aiutarlo nelle sue frasi, e da una settimana all’altra l’espressione scritta del suo pensiero diverrà un lavoro sempre più gradevole e proficuo.


SCELTA DEL TESTO LIBERO

 

Un’altra innovazione delle tecniche Freinet è la “scelta del testo libero” per dargli l’onore della stampa che ne consentirà un impiego pedagogico. La scelta del testo non dovrà dipendere solo dai ragazzi ma dalla intera comunità di cui è parte il maestro; né il maestro deve essere più preponderante nella scelta; la scelta deve avvenire con il voto democratico con maggioranza assoluta al primo turno, maggioranza relativa al secondo turno; il maestro partecipa al voto a parità con i suoi allievi.

Dopo che tutti i testi sono stati letti si vota la prima volta ma la maggioranza assoluta non si raggiunge che in certi casi ben netti; vengono allora eliminati, al secondo turno,  i testi che non hanno riscosso consenso e si opera la scelta solo fra quei testi che hanno suscitato un minimo di interesse. La scelta allora sarà circoscritta; se anche in questo secondo turno la maggioranza è incerta si rivoterà per scegliere fra i due testi in alternativa.

Questo diventa il metodo più semplice e più democratico perché il testo adottato sia quello che più possa interessare a fondo l’insieme della scolaresca e dunque il più utile dal punto di vista formativo e culturale. Questa ulteriore tecnica preannuncia quella della tipografia scolastica per la stampa del giornalino.

L’ORGANIZZAZIONE MATERIALE DELLA SCUOLA

Il problema del rendimento in materia di insegnamento è legato a quello dell’attrezzatura scolastica. La modernizzazione di questa attrezzatura comanda dunque, in certa misura, ogni miglioramento del rendimento del nostro sistema educativo.

Freinet sogna lavagne mobili, sedie pieghevoli, biblioteche fanciullesche, vetrine, acquari, telai per tessere, nonché piccoli laboratori facenti capo alla sala comune, senza porte, nei quali gli scolari possano installarsi a loro talento. Ma si tratta di un sogno lontano dalla realtà. Allora, Freinet, molto semplicemente, per meglio trovarsi al livello del ragazzo, per meglio vivere il suo pensiero e partecipare alle sue emozioni, compie un atto che resterà simbolico: toglie di mezzo la predella che gli conferiva un inutile prestigio e colloca la cattedra a livello del pavimento, contro i banchi dei suoi monelli.

La predella con quattro solidi piedi la trasforma in una robusta tavola che ospiterà il materiale per la stamperia. Al disotto fisserà una scaffalatura destinata a ricevere carte e stampati ed ecco l’officina di stampa. Colloca meglio certi vecchi tavoli a leggio, sacrificando i più malconci che trasforma in tavoli di esposizione, con la parte superiore ridotta a piano orizzontale, si procura vecchi banchi, accosta alla parete alcuni scaffali, modernizza il suo vecchio armadio a muro, ma con suo gran dispiacere, non può abbassare le alte finestre da prigione per porle all’altezza dei ragazzi. La classe ora ha preso un aspetto nuovo, vi si respira meglio, vi si lavora con più facilità ed impegno.

Nondimeno, in questa piccola classe così sprizzante di attività, manca qualcosa di artistico a completare la poetica atmosfera destata qua e là dallo spettacolo dei bei paesaggi che il maestro fa ammirare ai suoi scolari durante le passeggiate e che continua quella sensibile realtà spirante dalle poesie che il giovane educatore improvvisa per i ragazzi. Non è il caso di pensare a una qualche specie di teatro scolastico. Digiuno di musica, senza saper cantare, troppo stanco per mettere in scena delle commediole, Freinet ripiega su quella distrazione di tutto rispetto che è il cinema. Il Municipio accorda fondi per l’acquisto di un proiettore e un fotografo di Grasse offre in noleggio per una modesta cifra i film ricreativi ed educativi. Il lavoro scolastico viene intervallato, a ragione veduta, da piccoli momenti di distensione che alleggeriscono il compito del maestro pur donando al ragazzo  occasioni di evasione e di sogno, poiché sognare è sempre piacevole. L’acquisto di dischi viene a completare l’ambiente di cultura e il disegno libero, ben presto instaurato, conferisce a questa piccola classe  una originalità contrastante con la classe dove prevale l’autorità dell’adulto e la passività del ragazzo.


LA TIPOGRAFIA SCOLASTICA – CORRISPONDENZA INTERSCOLASTICA – SCATOLE DI LAVORO PER ESPERIMENTI SCHEDE PROGRESSIVE ED AUTOCORRETTIVE.

L’innovazione più celebre è senza dubbio costituita dalla “Tipografia Scolastica”. Sebbene semplificata in molti procedimenti tecnici, così da essere poco costosa e facilmente maneggevole per i fanciulli, essa è una vera tipografia, capace di stampe nitide e di tirature elevate. I fanciulli apprendono a riflettere, a leggere, a scrivere, a lavorare maneggiando i caratteri tipografici, allineandoli sul regolo, tirando le bozze di stampa, che correggono con il  maestro. Nasce così l’idea del “libro di vita (oggi chiamato giornalino scolastico)”; i testi variamente elaborati erano oggetto di ulteriori discussioni, erano esposti e potevano offrire l’opportunità per avviare un dialogo con ragazzi di altre classi o di altre scuole. E’ questa una ulteriore tecnica quella della “corrispondenza interscolastica”  molto stimolante per rompere l’isolamento degli scolari di campagna; infatti all’epoca delle prime esperienze di Freinet va ricordato non c’erano ancora la radio e la televisione, i cinema non erano diffusi nei piccoli paesi, e così la posta rappresentava ancora il mezzo ideale di collegamento con l’esterno.

         La ricchezza dei documenti raccolti nei lavori di ricerca imponevano una documentazione mobile, sempre a portata di mano, d’onde l’avviamento dei diversi “schedari scolastici”, destinati ad arricchirsi incessantemente. E di qui, inutile dire, la proscrizione dei manuali scolastici, il cui contenuto, selezionato, scelto, ritagliato, incollato su schede, diventa elemento favorevole e positivo di schedari in continuo arricchimento. Di qui le biblioteche di lavoro, autentiche enciclopedie infantili di carattere scientifico e culturale, che rimangono uno dei più dimostrativi elementi di uno spirito nuovo, secondo un modernismo che si impone ormai a ritmo accelerato. Gli schedari autocorrettivi di calcolo e di grammatica liberano il maestro e i ragazzi dalle sterili ripetizioni della scolastica.

Il Freinet sentì anche il bisogno di associare alle sue tecniche la predisposizione di scatole di lavoro per esperimenti, l’allestimento di specifici laboratori nell’ambito della scuola, soprattutto per attività manuali:  la coltivazione di fiori e piante; la cura di animali.


UN ORDINE NUOVO BASATO SUI PIANI DI LAVORO

La scuola tradizionale ha i suoi piani di lavoro definiti dall’esterno, con i libri di testo, i programmi e gli orari. Il maestro stabilisce il giorno prima nel suo registro lo svolgimento ora per ora, dieci minuti per dieci minuti, di tutti i lavori dell’indomani. E’ una soluzione che ha il merito di imporre alla scuola una tecnica minuziosa, che talvolta si crede perfino stabilita scientificamente, che tranquillizza la coscienza dei maestri, nonché dei genitori. C’è però una piccola noia: questo arrangiamento dall’esterno conviene ai ragazzi? Nelle scuole Freinet invece di stabilire in anticipo, autoritariamente, il lavoro scolastico dei ragazzi, viene preparato il lunedì, tutti insieme, con “il piano di lavoro”. In realtà, ne contiamo di quattro specie: il piano generale; i piani annuali; i piani settimanali; il piano quotidiano. I primi due sono stabiliti prima dell’inizio della scuola e dai quali ci rifaremo in ogni momento, in particolare quando stabiliremo i nostri piani settimanali e giornalieri. Questi ultimi due sono i veri strumenti che stabiliamo in collaborazione.


IL PIANO GENERALE

Questo piano è in un certo senso la nomenclatura di ciò che Freinet chiama le “attività funzionali” del fanciullo, sorte dal lavoro e che egli compie o vede compiere. Non si tratta di verificare dei centri di interesse, che raggruppano le conoscenze da far acquisire, ma le azioni che il ragazzo evocherà nei suoi testi o che saranno alla base delle domande che porrà.

Così l’autunno, per il fanciullo, non è quello che si ha l’abitudine di evocare: la caduta delle foglie, il tempo che si fa freddo, le belle giornate che si allontanano, ecc.. L’autunno, per lui, è soprattutto il terreno per la caccia alle allodole, che bisogna preparare e dove passerà i suoi giorni di vacanza, alla posta; sono le foglie che rastrella e fa bruciare; il granturco che raccoglie; i funghi che coglie, ecc.. Altrettante azioni che, in questa stagione, lo appassionano.

 

Nato l’interesse, bisogna trovare presto la documentazione necessaria al suo sfruttamento. Da qui l’importanza di questo piano generale che senza perdita di tempo consente di procurarsi le biblioteche del lavoro, gli schedari, le illustrazioni, ecc..

  I PIANI ANNUALI

A fianco di questo piano generale ho i miei “piani annuali”. I quali consistono molto semplicemente nell’essenziale di tutto ciò che abbiamo dovuto obbligatoriamente aver visto alla fine dell’anno in aritmetica, grammatica, storia, geografia, scienze, ecc. In qualche modo, i programmi. A tale scopo ho un quaderno di cui ho diviso le pagine in caselle, ognuna riservata a un argomento del programma. Questo ultimo è dunque una specie di ripartizione annuale, ma l’ordine col quale sono riportati questi argomenti non ha niente di costrittivo. Salvo che in storia, dove procedo secondo l’ordine cronologico, in tutte le altre materie rispetto per prima cosa l’interesse del fanciullo. Di modo che quest’anno, in aritmetica, abbiamo cominciato molto tradizionalmente con i grandi numeri, le quattro operazioni; poiché già ci parlavano del nostro progetto di viaggio-scambio, prendemmo gli orari ferroviari e, attualmente, ci troviamo sprofondati nei numeri complessi, nelle misure di distanze. Può darsi che in seguito ci parleranno delle velocità. Tutto ciò ci porta ai quattro angoli del programma.

 

Via via che un argomento è stato trattato, contrassegno di nero la casella corrispondente del mio piano annuale. La contrassegno più o meno secondo che la giudico più o meno acquisita dai miei scolari. Ogni volta che mi troverò a doverne riparlare, annerirò un’altra parte della casella, mettendovi la data.

 

Quando consulto il mio piano, so esattamente e molto rapidamente ciò che mi resta da trattare, ciò che ancora non è bene appreso, orientando dunque i miei sforzi in conseguenza. Questo piano mi serve dunque di guida e di coscienza, poiché mi ricorda a ogni momento che, dopo tutto, devo svolgere dei programmi.

  I miei scolari, e più in particolare, i candidati alla licenza elementare, si prendono copia di questi piani e, come me, ne contrassegnano le caselle. Un’attività cui tengono molto e sono capaci di farmi osservare: “Ma, signor maestro, abbiamo ancora molto da trattare”.

Questi piani ci sono ancora molto utili il lunedì mattina, quando stabiliamo i nostri piani settimanali: di solito non ci manca davvero materia da trattare, ma talvolta ci manca il materiale. Che facciamo allora? Seguendo l’agenda dove sono annotate tutte le questioni rimaste in sospeso per mancanza di documentazione, consultiamo i piani annuali e attingiamo alle caselle rimaste bianche.

IL PIANO SETTIMANALE

Nella scuola così organizzata dal Freinet, la dimensione temporale che rappresentava il principale punto di riferimento era la settimana; il lunedì mattina ogni alunno riceveva un modello comprendente: per la grammatica, certi lavori collettivi e alcune schede dello schedario di grammatica, concordate con l’insegnante; per il calcolo, un programma con pratica di lavoro individuale e sociale e alcune schede dello schedario di calcolo; per la composizione; le indicazioni per alcuni testi liberi individuali e di gruppo; per la storia, la geografia, le scienze, argomenti tratti generalmente dalle esperienze svolte la settimana precedente e argomenti tratti dal piano di lavoro annuale; da svolgere attraverso ricerche individuali e di gruppo con il vario materiale (schedari-guida, biblioteca di lavoro, scatole di lavoro, strumenti di laboratorio, etc.).

  Nel corso della settimana erano previsti momenti di dialogo collettivo, gite per conoscere l’ambiente naturale e di lavoro svolto. Il problema principale era quello di riuscire a comporre in modo unitario l’attività collettiva con l’individuazione di un programma elaborato sulla misura dei bisogni e delle capacità di ciascuno.


 

ORIENTAMENTI BIBLIOGRAFICI

·                    Celestin Freinet; “Le mie tecniche”, Nuova Italia Firenze, 1969

·                    Antonio Santoni Rugiu: “Storia Sociale dell’Educazione”, Principato Editore/Milano, 1979

·                    Giorgio Straniero: “Enciclopedia Storica della Pedagogia”, Teti Editore, 1980

·                    Giovanni Reale/Dario Antiseri/Mauro Laeng: “Filosofia e Pedagogia dalle origini ad oggi”, Volume 3°, Editrice La Scuola, 1989

·                    www.ecn.org./filirossi/freinet;

·                    www.bdp.it/scuoleinrete29too/sammauro/scuole/freinet

MCE (Movimento di Cooperazione Educativa), storica associazione di insegnanti, nata nel 1951 in riferimento alla pedagogia di C.Freinet, ha sviluppato ricerca e innovazione didattica e culturale attorno alla pedagogia popolare, alla cooperazione educativa e al metodo naturale nell'apprendimento. Incentra oggi la propria proposta educativa sull'educazione alla pace, basata sull'accettazione della diversità nella prospettiva dello scambio interculturale e della solidarietà.



ritorna alla pagina MATERIALI