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Insegnare Filosofia 2 1997

DIDATTICA - Mappe concettuali, uno strumento per la promozione dell'apprendimento significativo

Alberto Emiliani

 

Il metodo delle mappe concettuali è uno strumento didattico elaborato in ambito cognitivista (1), allo scopo di favorire l’apprendimento e di consentire una verifica dei livelli di comprensione e di rielaborazione raggiunti dallo studente. Come tutte le metodologie di ispirazione cognitivista, non è un procedimento meccanico e chiuso; esso risulta realmente efficace soltanto se inserito in uno stile di lavoro che privilegi la rielaborazione attiva da parte dello studente e la ricerca di significati.

Tale stile di lavoro viene sommariamente delineato nella prima parte di questo articolo; la seconda parte è dedicata ad un'illustrazione del metodo delle mappe concettuali.

SPUNTI PER UNA DIDATTICA COGNITIVISTA

Come è noto, il cognitivismo non è un corpo sistematico compatto, né nei modelli teorici di riferimento né nella impostazione metodologica. Nella teoria dell'apprendimento, in particolare, le diverse ricerche di stampo cognitivista si differenziano nei metodi, nei presupposti teorici ed anche nell'oggetto di indagine, tanto che esse risultano, talora, difficilmente confrontabili (2).

Inoltre, non è possibile tracciare una netta linea di confine tra gli studi più marcatamente cognitivisti, le indagini neo-piagetiane e le teorie di Bruner. Vi è tuttavia un nucleo teorico che è sufficiente a caratterizzare con chiarezza l'impostazione cognitivista, differenziandola in maniera netta dalle teorie comportamentiste. Le tesi cognitiviste sull'apprendimento si possono cogliere in modo assai chiaro quando le si contrappone alle tesi rivali; procederò pertanto per opposizioni, illustrando la posizione cognitivista sull'apprendimento in antitesi al comportamentismo (e, dove è il caso, in antitesi ai presupposti teorici della "scuola attiva").

a) Oltre il comportamento

Il cognitivismo si fonda sull'assunto che lo smere "finzioni teoriche", utili soltanto a mettere in correlazione stimoli e risposte, ma autentici oggetti di indagine.

Dall'inizio degli anni Sessanta, si è assistito ad un progressivo proliferare e ramificarsi degli studi di impostazione cognitivista. In particolare, verso la fine degli anni Settanta, ha preso corpo una differenziazione, piuttosto radicale, tra la "scienza cognitiva" (R. Schank, A. Collins, E. Charniak) volta ad affrontare problemi sempre più specifici di rappresentazione della conoscenza, comprensione del linguaggio, apprendimento, soluzione dei problemi, ecc. mediante il ricorso a modelli limitati ed implementabili su elaboratori (il paradigma della mente-macchina) e, dall'altro lato, la "psicologia ecologica" (Neisser, Gibson) che pone l'accento sulla globalità della interazione uomo-ambiente. Di estrema importanza, per chi sia interessato alle implicazioni metodologico-didattiche del cognitivismo, è infine l'impostazione socio-cognitiva, che elabora una sintesi originale ed ampia di contributi provenienti da diverse aree di indagine (3).

Da un punto di vista socio-cognitivo, una rigida distinzione tra temi cognitivi e temi relazionali, personali e sociali risulta artefatta e improduttiva. Un autentico progresso cognitivo è sempre legato a doppio filo a fondamentali dinamiche personali-sociali quali, per esempio, la crescita della autostima e delle capacità di diagnosi, relazione e fronteggiamento (4).

b) Il contenuto della mente

Il superamento del comportamentismo porta in primo piano la mente, intesa non come magazzino nel quale si accatastano conoscenze e abilità, ma come struttura assai elaborata e connessa. Gli stessi studi sulla memoria (dai quali prende l'avvio il filone cognitivista) rivelano nella memoria una estrema complessità e attività. Memorizzare non significa accumulare ma collegare, nel magazzino a lungo termine, nuove conoscenze, dopo un processo di riconoscimento, selezione e sintesi.

L'abbandono di una concezione della memoria quale facoltà ripetitiva, "passiva", consente di mettere a fuoco alcuni dati centrali: primo tra tutti, il fatto che l'efficienza nella memorizzazione è strettamente connessa alla presenza di strutture nelle quali inserire le nuove informazioni. Il principio-chiave è semplice: tanto più la conoscenza è strutturata, tanto più è facile memorizzare. La struttura è tanto più potente quanto più essa è ramificata e connessa con altre.

La concezione cognitivista della mente presenta, oltre all'accento posto sulla strutturazione, un'importante distinzione tra conoscenze procedurali e conoscenze dichiarative. Le conoscenze dichiarative sono, essenzialmente, statiche; eventi, nomi, significati, organizzati in reti semantiche. Le conoscenze procedurali sono dinamiche: strategie, regole di azione applicate a particolari condizioni. Vi sono conoscenze procedurali relative ad attività motorie, semplici (p.es. sbadigliare) o complesse (p.es. andare in bicicletta), innate o apprese; conoscenze procedurali relative ad abilità intellettuali (contare, parlare, risolvere problemi, ecc.); ed anche conoscenze procedurali relative alla costruzione di altre conoscenze procedurali. L'esistenza di queste ultime, in particolare, costituisce un presupposto qualificante di una "didattica cognitivista"; infatti, è possibile prendere coscienza delle proprie procedure di memorizzazione e di apprendimento e modificarle in modo vantaggioso (meta-memoria, meta-apprendimento). Anderson e Greeno individuano quale obiettivo dell'istruzione il portare l'allievo a gestire, attraverso l'uso di strategie, il proprio apprendimento; a controllare comprensione, composizione, soluzione di problemi.

Un lavoro finalizzato alla presa di coscienza, da parte dello studente, delle proprie procedure di apprendimento e memorizzazione, nonché al controllo di tali procedure e alla loro rielaborazione, può avvalersi di strumenti più o meno formalizzati (test, utilizzati non come strumento valutativo ma come stimolo e contributo alla riflessione). Il dialogo diretto con lo studente mantiene però una importanza insostituibile, una funzione centrale. Anche l'eventuale "somministrazione" di un test, infatti, non è che il punto di partenza di un lavoro più fine di analisi e di costruzione, che non può essere totalmente standardizzato.

c) Atomo contro struttura

Una delle critiche più frequenti che i teorici cognitivisti dell'apprendimento muovono ai loro predecessori è quella di atomismo. Una metodologia didattica che si richiami a premesse comportamentiste tenderà a suddividere e ad analizzare all'infinito le competenze generali, che costituiscono l'obiettivo finale dell'educazione, in competenze specifiche sempre più limitate e settoriali. Costruirà quindi micro-percorsi di apprendimento che conducano all'acquisizione di tali competenze, una alla volta, e verificherà l'apprendimento mediante test specifici.

Questo disegno metodologico, qui tratteggiato sommariamente, è essenzialmente carente. E' vero che una competenza complessa (ma si dovrebbe parlare di competenze generali) non è una competenza quasi-magica, inanalizzabile; essa è invece costituita da una complessa rete di abilità, conoscenze, atteggiamenti, strettamente collegati tra loro. Ma appunto: strettamente collegati, organizzati assieme in strutture. Ciò comporta, in primo luogo, che lo "smontare" la competenza generale in competenze atomiche, anziché spiegare in che cosa consista la competenza generale, rischi di polverizzarla. Di fatto, la situazione di apprendimento, oltre a stimolare la acquisizione di micro-competenze specifiche, deve stimolare la organizzazione di tali competenze; vale a dire, facilitare l'inserimento della nuova competenza in una complessa struttura mentale preesistente, modificandola in modo più o meno profondo.

Di particolare rilievo è, in proposito, il richiamo alla nozione di "transfer" dell'apprendimento introdotta da Bruner, o alla nozione piagetiana (poi ripresa dai post-piagetiani Flavell e Wohlwill) di "transfert orizzontale". Mentre una impostazione comportamentista procede per singoli progressi, articolati in una successione lineare, l'apprendimento risulta tanto più efficace e potente quanto più esso induce, nel sistema cognitivo, modificazioni generalizzabili, trasferibili in diversi contesti e situazioni.

Una metodologia didattica che si proponga di stimolare una profonda assimilazione della disciplina dovrà proporre allo studente situazioni di "distanza" tra ciò che lo studente sa già fare e la competenza che costituisce, in quella fase, l'obiettivo dell'insegnamento. Invece di guidare, passo passo, lo studente alla acquisizione della competenza, occorre potenziare la sua capacità di auto-organizzarsi per superare il problema (meta-apprendimento, controllo e rielaborazione delle strategie); predisporre situazioni-problema, caratterizzate dal conflitto cognitivo tra strumenti concettuali che lo studente già possiede ed altri strumenti concettuali che egli padroneggia ancora a fatica (una impostazione essenzialmente piagetiana o neo-piagetiana, che non risulta in conflitto con la precedente); o ancora, predisporre situazioni-problema risolvibili attraverso un transfer di conoscenze (una prospettiva più bruneriana). Dunque, si dovranno approntare situazioni che richiedano allo studente di affrontare e risolvere problemi, di produrre esemplificazioni e analisi di casi, nonché di trasferire impostazioni basilari (p.es. una impostazione trascendentale di tipo kantiano), colte in certe aree disciplinari, ad altre aree disciplinari e ad altre discipline. A questo punto, quando necessario, il docente può e deve intervenire per operare riduzioni del carico cognitivo; ma è evidente che ciò è assai lontano dal predisporre un percorso rigido di apprendimento.

Un secondo motivo cruciale per respingere una metodologia didattica basata su sequenze rigide di micro-apprendimenti si trova nella peculiarità dei sistemi cognitivi degli studenti – delle loro menti. Lo studente non è una tabula rasa; egli perviene alla scuola secondaria superiore con un suo patrimonio di conoscenze, assai complesso e organizzato; e con sue proprie modalità di apprendimento. Che il sistema debba evolvere, è un fatto; ma è ben chiaro che ogni sistema cognitivo presenta diversi problemi e diverse modalità di sviluppo. In altri termini, a seconda delle esperienze di apprendimento avute in passato e di numerose altre variabili individuali, lo studente può arrivare in modi diversi ad acquisire le medesime competenze generali (nei termini della trita metafora, è vero che non si costruisce la casa dal camino, ma è anche vero che ci sono molti modi assai diversi per costruire strutture funzionalmente simili – case). Alcuni studenti hanno bisogno di padroneggiare un quadro complessivo, magari schematico, prima di procedere ad una analisi dettagliata; altri operano in modo del tutto opposto (vi sono poi numerosi casi intermedi). Alcuni procedono sistematizzando teoricamente, altri rielaborano in modo più operativo, ponendosi di volta in volta problemi e individuando connessioni, ecc. Ciascuno studente deve venire aiutato a rendersi consapevole delle proprie modalità di apprendimento, e a svilupparle secondo le esigenze della propria mente – del proprio sistema cognitivo. (Se allo studente manca un metodo efficace di lavoro, non gli manca il metodo efficace di lavoro, ma il suo metodo efficace di lavoro; e il docente può aiutarlo a trovarlo da sé.) E' inevitabile che l'insegnante tenda a presentare la materia secondo la sua personale impostazione e secondo il suo stile cognitivo (almeno finché l'insegnamento viene svolto, sistematicamente, attraverso lezioni frontali); costringere però lo studente a seguire un percorso rigido e preciso che contrasti con le sue modalità di apprendimento è una maniera sicura di condurlo alla frustrazione e al fallimento.

Pertanto, la verifica dell'apprendimento non può limitarsi a registrare i risultati raggiunti in una performance specifica, ma deve estendersi fino ad osservare i processi attraverso i quali lo studente ha conseguito, o mancato di conseguire, la competenza.

d) Rielaborazione contro acquisizione "passiva"

Il soggetto apprende rielaborando, vale a dire trasformando, coordinando, trasferendo, informazioni e conoscenze. Posto di fronte al problema, il soggetto cerca di utilizzare le conoscenze in suo possesso (conoscenze procedurali e dichiarative) per risolverlo. Il problema può essere di diversi tipi: dimostrare un teorema, comprendere una lezione, produrre un testo, ... , risolvere un conflitto relazionale. In ogni caso, si assiste ad un tentativo di rielaborazione (Piaget avrebbe parlato di assimilazione) condotto attraverso le strategie di cui il soggetto dispone. Tali strategie possono essere inefficaci, per più motivi; dalla mancanza di strategie adeguate al numero eccessivo di elementi da controllare contemporaneamente. In quest’ultimo caso, il docente può procedere riducendo lo sforzo cognitivo richiesto, p. es. risolvendo una parte del problema, in modo da ridurre lo scarto tra la situazione problematica iniziale e una sua soluzione, oppure operando in modo da accrescere la familiarità dello studente nei confronti di uno degli elementi del problema. La familiarità con uno degli elementi del problema (super-apprendimento) ne riduce infatti, secondo Case e Pascual-Leone (5), il carico cognitivo. E' importante osservare che, in tutti questi casi, il docente non ha mai la funzione di un generatore di apprendimento, ma sempre quella di facilitatore dell'apprendimento. In altre parole, il docente non fa il lavoro al posto dello studente, non si propone di appianare ogni difficoltà cognitiva e di presentare il materiale in una forma, per così dire, immediatamente digeribile dall'apparato cognitivo dello studente. Dovere far ricorso alle proprie risorse per elaborare il materiale da apprendere e per inserirlo nel proprio sistema cognitivo è per i cognitivisti, come già per Piaget e per Bruner, un elemento fondamentale dei processi di apprendimento (cfr. la cosiddetta "pedagogia dello sforzo" di Piaget).

L'apprendimento è dunque, in una prospettiva cognitivista, un processo costruttivo (Anderson, Greeno ed altri (6)) durante il quale lo studente assimila nuovi "materiali cognitivi" (conoscenze procedurali e dichiarative), si familiarizza con essi e procede, ove sorgano conflitti interni, a ristrutturare in modo più o meno approfondito il proprio sistema cognitivo. Lo studente viene inoltre aiutato dal docente ad osservare e a controllare le proprie modalità di apprendimento, confrontandole con quelle di altri e localizzando i punti deboli nel complesso di strategie a sua disposizione. Da ciò ha origine un lavoro che conduce assai spesso a sensibili miglioramenti nelle prestazioni cognitive, e sempre ad una migliore consapevolezza di sé. Il docente viene percepito non tanto come un dispensatore di conoscenze da replicare meccanicamente, ma come un collaboratore nel processo di rielaborazione cognitiva, che è parte del più generale processo di costruzione dell'identità.

Sono molteplici i modi attraverso i quali il docente può stimolare la rielaborazione personale, "attiva", da parte dello studente. Il principio è sempre il medesimo: un problema, di qualsiasi natura, che emerga durante il lavoro, non è un abisso che il docente debba affrettarsi a colmare, ma una risorsa da utilizzare per l'apprendimento. Questo vale anche per i problemi più semplici e all'apparenza più banali. Lo studente non comprende il significato di una parola, che si trova nel testo o nella spiegazione dell'insegnante. Bene: lo studente provi prima a dire che cosa crede che significhi; come la interpreta in quel contesto, ecc. Provi ad andare avanti a leggere e si sforzi di congetturare il suo significato, ecc. In generale, lo studente si abitui a non vedere nell'insegnante il solutore dei suoi problemi, ma il collaboratore alla ricerca della soluzione. Lo spiegare e rispiegare, in termini sempre più "semplici", gli stessi concetti, fa dell'insegnante un protagonista infelice, che finisce per seguire la strada più lunga e meno produttiva – alla fine, in qualche modo, lo studente dovrà pure arrivare alla comprensione da sé. Occorre rovesciare l'atteggiamento di attesa passiva; promuovere (con fiducia, mai in maniera aggressiva) la elaborazione personale. Dunque: fare molte domande, far sentire gli studenti continuamente interpellati; fermarsi a metà di un'argomentazione, orale o scritta, e fare trarre agli studenti le conclusioni; fare rielaborare dagli studenti paragrafi o lezioni frontali, mediante l'uso, p.es. di mappe concettuali; fare analizzare casi concreti; limitare al minimo la presentazione di esempi, che dovranno essere trovati dagli studenti; in generale, interrompere frequentemente il flusso della lezione frontale ponendo problemi che presentino conflitti cognitivi o che richiedano transfer di conoscenza – o che, più semplicemente, siano risolvibili per rievocazione di conoscenza.

IL METODO DELLE MAPPE CONCETTUALI

Una mappa concettuale è una versione, piuttosto elaborata, del tradizionale "schema"; essa si presenta come un insieme di bolle contenenti brevi caratterizzazioni di concetti e collegate tra loro. Una differenza evidente dagli schemi tradizionali sta nel fatto che la mappa concettuale deve rispondere a requisiti "formali" un po' più stretti. Si tratta però della differenza meno importante; la differenza principale sta infatti nell'uso che si fa delle mappe concettuali. Anche in questo caso, come spesso accade in ambito cognitivista, le caratteristiche tecniche dello strumento, pur importanti, sono secondarie; infatti lo strumento non è tanto un mezzo meccanico di valutazione quanto un ausilio didattico, strutturalmente aperto, per la osservazione, la stimolazione e il controllo dei processi di apprendimento.

In questo senso, nessuno strumento specifico è indispensabile, ed anzi ogni strumento può essere adoperato in maniera improduttiva. Molti strumenti didattici "tradizionali" possono venire rielaborati e utilizzati in accordo con i fondamentali principi cognitivisti. Pertanto, la descrizione del metodo delle mappe concettuali è, principalmente, la descrizione di un esempio, il cui scopo non è fornire una tecnica infallibile ma mostrare un'applicazione concreta di alcuni temi cognitivisti. Tale descrizione avrà raggiunto il suo obiettivo se aiuterà il lettore a raggiungere una migliore consapevolezza delle proprie strategie didattiche, e se stimolerà un transfer di conoscenza verso altre applicazioni.

La mia presentazione delle mappe concettuali si articola in tre parti: un'esposizione dello strumento; un'analisi dei suoi principali modi e campi di applicazione; un'ipotesi di strategia didattica per introdurre la costruzione di mappe nella scuola secondaria.

a) Descrizione delle mappe concettuali

Una mappa concettuale rappresenta graficamente una rete di relazioni tra concetti. I concetti compaiono nella mappa in forma assai sintetica (tre, quattro parole per caratterizzare un concetto; non sono ammesse caratterizzazioni prolisse). La struttura ha la forma di un albero che si ramifica verso il basso: vi sono bolle (cioè concetti) che si trovano a livelli più elevati (nella parte alta della mappa) e bolle che si trovano più in basso. Il collegamento tra una bolla più "alta" e una bolla più bassa, indicato da un tratto che congiunge le due bolle, rappresenta una connessione (logica, argomentativa, causale, cronologica, predicativa, o di altro tipo).

 

Il frammento di mappa sopra riportato può aiutare a chiarire alcuni punti. In primo luogo, è essenziale che i tratti di connessione riportino una breve "etichetta" che determini di quale connessione si tratta. In secondo luogo, tra una bolla e le bolle di livello inferiore ad essa collegate, possono esistere connessioni diverse. Nell'esempio, le forme dell'esperienza richiedono l'attività del soggetto e sono (si suddividono in) categorie e intuizioni pure. Si tratta di due tipi di connessioni profondamente diversi; essenziale dunque esplicitare, con l'etichetta, la natura del nesso. Infine, occorre una certa flessibilità nella distinzione tra connessioni e concetti. Novak e Gowin, ideatori del metodo, danno per scontata una netta distinzione tra concetti e connessioni. I filosofi saranno, ragionevolmente, assai più critici e, per una volta, più moderati. La nozione di nesso tra concetti è assai lata; pretendere di individuare, nel linguaggio ordinario, una distinzione rigida tra concetti e nessi è semplicemente fuorviante. La mappa sopra riportata avrebbe potuto essere formulata in modo da comprendere due bolle per intelletto e intuizione, e da collegare a queste due bolle categorie e intuizioni pure; ma funziona anche così. Nella maggior parte dei casi, la pretesa di esplicitare tutti i concetti presenti nelle connessioni, lasciando solo "nessi puri", può finire per portare a mappe complicatissime e non necessariamente chiare. Le categorie sono collegate alle forme in quanto esse sono, nell'intelletto, le forme in cui si inquadra l'esperienza; dunque non c'è niente di male nell'etichetta "sono, nell'intelletto". Occorre evitare il fanatismo della "mappa concettuale definitiva".

Normalmente, i collegamenti presenti nella mappa sono del tipo "da padre a figli"; da un nodo superordinato ad uno o più nodi subordinati. Sono però consentiti, ed anzi auspicati, collegamenti trasversali tra rami lontani dell'albero, a patto che essi siano "significativi", non arbitrari né superficiali.

La mappa concettuale rappresenta una gerarchia. Che cosa determina l'ordine gerarchico dei concetti? In altri termini, sulla base di che cosa si decide che un certo concetto stia più in alto di un altro? La risposta di Novak e Gowin è che il concetto superordinato è più "inclusivo"; esso, in qualche modo, "include" i concetti di livello inferiore collegati. Anche in questo caso, a Novak e Gowin si può imputare un eccesso di rigidità – una cattiva generalizzazione, che rischia di produrre difficoltà e confusione. Il criterio di inclusività, infatti, se vale per le tassonomie, è assai più dubbio quando il collegamento sia di natura argomentativa, e diviene del tutto inaccettabile se il collegamento è causale o cronologico. L'idea, vagamente aristotelica, che la causa contenga l'effetto, sarebbe un prezzo veramente troppo alto da pagare per l'uso di un metodo didattico. Se poi pensiamo che anche termini sincategorematici di opposizione (ma, però, al contrario, ecc.) costituiscono collegamenti accettabili, appare evidente che un criterio basato sulla inclusività del concetto non è proponibile. Gli stessi Novak e Gowin, di fatto, mostrano di violare continuamente il criterio proposto.

Il problema, piuttosto complesso sul piano teorico, non è di difficile soluzione nella pratica. Lo studente sarà infatti invitato a "mettere più in alto" quei concetti che, secondo il suo modo di vedere, sono "più importanti" o "fondamentali"; quelli senza i quali "il discorso non si reggerebbe", le chiavi di volta, ecc. Insomma, i concetti di ordine più elevato saranno quelli che, nella rappresentazione cognitiva dello studente, hanno una centralità strutturale, rappresentano i punti-chiave di tenuta e di connessione della rete. Da un punto di vista formale, il discorso è tutt'altro che semplice; anche perché una misurazione precisa del grado di "centralità strutturale" del concetto richiederebbe di avere già a disposizione una rappresentazione della struttura. L'impressione di una petizione di principio viene meno quando si pensa che lo studente ha, in qualche modo, organizzato la conoscenza, nella sua mente, in modo strutturato; oppure è indotto a far ciò proprio dal compito di elaborare una mappa concettuale. La rappresentazione grafica dovrà dunque basarsi sulle intuizioni di centralità strutturale che lo studente ha in relazione alla propria organizzazione, sempre in fieri, della conoscenza.

Naturalmente, lo stesso tema, la stessa lezione, lo stesso paragrafo del libro di testo, possono essere organizzati in molti modi diversi. Dunque, allo stesso concetto possono correttamente venire assegnate, in mappe diverse, diverse posizioni gerarchiche. Ciascuna di esse corrisponderà ad una diversa impostazione, un diverso taglio, del tema o del problema. Per esempio, in una impostazione sistematica, si potrà assegnare una funzione centrale (dunque un elevato livello gerarchico) alla appercezione trascendentale, oppure alle categorie, mentre una impostazione problematica potrà porre al vertice il concetto di possibilità della esperienza, eventualmente collegato a problematiche humeane, lockeane, ecc.

b) Modi e campi di applicazione

Il metodo delle mappe concettuali viene completamente tradito se il docente lo adopera per fornire, prima, durante, o dopo, la spiegazione (o il lavoro sul testo) la propria mappa concettuale del tema trattato – non mi soffermerò sulle motivazioni di questa affermazione, che dovrebbe risultare chiara al lettore sulla base di quanto affermato nella prima parte.

La mappa concettuale consente di verificare, in tempi assai brevi, la correttezza e, sotto un aspetto, la completezza della informazioni in possesso dello studente. In altre parole, essa permette di verificare se lo studente ha acquisito tutti i principali concetti e se ne propone una sintesi corretta. Qualora manchi un concetto centrale, oppure siano presenti concetti caratterizzati in modo erroneo o, ancora, vengano accostati in modo erroneo concetti, il docente potrà individuare con facilità lacune nella informazione.

Si potrà inoltre evidenziare se lo studente abbia acquisito adeguate capacità di sintesi. Ogni bolla deve contenere una breve caratterizzazione del concetto (tre, quattro parole). Un errore tipico è quello di riempire ogni bolla con intere proposizioni o addirittura argomentazioni (dove compaiono più concetti e collegamenti); un altro consiste nel riempire la bolla con poche parole, ma irrilevanti o comunque non caratterizzanti rispetto al concetto che si vuole determinare. (Per quanto riguarda il primo errore, non si pretende che lo studente presenti una bolla per ogni concetto presente nella argomentazione, ma che egli scelga, tra i concetti e le connessioni, quelli che hanno una funzione cruciale nella struttura.)

Capacità di sintesi, ricchezza e correttezza nella informazione sono dunque valutabili con una certa facilità. Parallelamente, lo studente sarà spinto a modificare il proprio metodo di lavoro in modo da privilegiare sintesi, ricchezza e correttezza.

L'utilità dello strumento sta però soprattutto, per il docente, nella possibilità di verificare rapidamente l'organizzazione dei concetti – per lo studente, nel fatto che lo strumento lo aiuta a concentrarsi su questo aspetto, lasciando temporaneamente da parte eventuali problemi espositivi. Dalla mappa concettuale emergono con evidenza distorsioni strutturali, generali o localizzate, ed eventuali difficoltà nella comprensione di singoli collegamenti tra concetti. Un caso piuttosto frequente è quello di un concetto secondario cui, per diversi motivi (perché si trova all'inizio del testo, perché l'insegnante vi si è soffermato per molto tempo, forse soltanto al fine di chiarire un fraintendimento, ecc.) viene attribuita una funzione centrale. In questo caso, non di rado, l'intera struttura risulta distorta, nel senso che contiene collegamenti erronei e che connessioni e concetti importanti risultano assenti.

Come deve intervenire il docente in questi casi? Occorre ridurre al minimo l’intervento, stimolando l'autocorrezione. Ciò può essere fatto, soprattutto nel caso "difficile" delle distorsioni strutturali, limitandosi ad elencare allo studente alcuni concetti e connessioni importanti che non figurano nella sua mappa. Secondo Novak e Gowin, dovere "trovare il posto" per nuovi concetti, fortemente strutturanti, porta quasi sempre ad una rielaborazione complessiva.

Dovere inserire un nuovo concetto "importante" in una mappa è un tipico esempio di problema, che lo studente deve risolvere. Sta al docente valutare se, e fino a che punto, aiutarlo, facilitandogli la soluzione. Ancora, sta al docente valutare se sia opportuno chiedere allo studente una nuova stesura della mappa, o limitarsi invece ad una descrizione verbale dell'aspetto che la nuova versione dovrebbe assumere. Un’ipotesi intermedia è di far disegnare allo studente una nuova mappa semplificata, non dettagliata. La produzione di nuove stesure della mappa, infatti, è normalmente percepita come un compito meccanico e frustrante; è bene non superare le due stesure (7).

Di particolare interesse sono i collegamenti "lontani" e le strutture che divergono da quelle implicitamente proposte dal docente (o dal testo). Nel secondo caso, in particolare, si è di fronte ad una spiccata originalità e creatività nel pensiero. Il docente dovrà incoraggiare la produzione di mappe concettuali "divergenti"; non soltanto al momento della valutazione ma anche, e soprattutto, nella impostazione del lavoro.

Gli obiettivi didattici che il docente si propone possono venire ulteriormente esplicitati attraverso l'uso di punteggi associati alle caratteristiche della mappa (p. es. 5 punti per ogni collegamento valido, 10 per ogni livello di gerarchia, 20 per ogni collegamento trasversale, ecc.). In questo modo lo studente, sapendo esattamente che cosa viene valutato e quanto viene valutato, percepirà in modo assai concreto l'importanza che il docente assegna ai singoli fattori.

In alternativa, la mappa può essere valutata secondo una griglia (p.es. ricchezza, correttezza, articolazione, sintesi); in ogni caso, occorre che lo studente sappia con la massima chiarezza che cosa viene valutato e perché.

Ogni docente può sperimentare le modalità di misurazione che gli sembrino opportune, in modo da affinare i criteri di valutazione. La sperimentazione, la verifica, il confronto con i colleghi del consiglio di classe, costituiscono momenti assai fruttuosi; essi inoltre contribuiscono ad assegnare un rilievo sempre maggiore, nel lavoro didattico, alla promozione dell'apprendimento significativo.

c) Modalità di introduzione dello strumento – una ipotesi

Novak e Gowin propongono strategie didattiche dettagliate per introdurre le mappe concettuali nella scuola. Per quanto riguarda la scuola secondaria, essi prevedono 20 passaggi (descritti alle pp. 45-46 della traduzione italiana). In questo lavoro, non riporterò per esteso la proposta di Novak e Gowin, ma mi limiterò ad estrarne i momenti essenziali.

In primo luogo, si avvierà una riflessione sulla distinzione tra concetti e connessioni. Il docente potrà cominciare con alcuni esempi facili: semplici asserzioni nelle quali concetti e collegamenti si possano distinguere con facilità. Subito dopo, si chiederà agli studenti di produrre esempi e così, in maniera interattiva, si procederà verso casi più complessi o più ambigui. Per esempio, in "uno stato di cose atomico è costituito da una concatenazione di oggetti semplici" si possono individuare i concetti "stato di cose", "oggetto semplice", "concatenazione" e i collegamenti "essere costituito da" e "di". Ma, alternativamente, si può anche analizzare la asserzione in questione con i concetti "stato di cose" e "oggetto semplice" e il collegamento "è una concatenazione di". Occorre smentire l'idea che la mappa concettuale debba rappresentare la struttura dei pensieri; sono invece possibili rappresentazioni diverse ed equivalenti, e non è necessario (anche perché è impossibile) esplicitare tutto.

A questo punto, si rifletterà sul fatto che la conoscenza consta di strutture interconnesse, e l'insegnante potrà insistere sulla necessità di uno strumento che consenta agli studenti e a lui stesso di focalizzare le abilità di organizzazione della informazione. Sarà opportuno insistere sul fatto che le mappe vengono introdotte non tanto come strumenti di verifica quanto come mezzi per promuovere miglioramenti nelle competenze degli studenti. Ciò presuppone che l'insegnante abbia già affrontato i seguenti argomenti: apprendimento come rielaborazione "attiva", efficacia di una memorizzazione legata all'inserimento in strutture, conoscenze dichiarative e conoscenze procedurali, possibilità di migliorare in modo sensibile il proprio rendimento intervenendo sulle procedure utilizzate.

Si può quindi passare all'esame di un paragrafo di un testo, chiedendo agli studenti di individuare i concetti più "importanti". Possono emergere differenze significative; qualche studente potrà considerare un certo concetto importante perché lo vede collegato ad altri argomenti, o perché contribuisce a chiarificare un'area tematica che prima gli era oscura – forse anche perché si inserisce facilmente in un suo percorso di rielaborazione personale dell'esperienza. Simili differenze (che però non sono tanto comuni) vanno evidenziate; l'insegnante sottolineerà che vi possono essere più maniere di guardare al medesimo testo. Si insisterà sul fatto che la mappa che si produrrà ora non è che un esempio.

Si può ora costruire la mappa, disponendo i concetti secondo l'organizzazione gerarchica e avendo cura di "etichettare" i collegamenti. Al fine di ridurre la frustrazione delle riscritture, un buon metodo consiste nello scrivere i concetti su rettangoli di carta che poi potranno venire spostati. (Quando si passerà alla fase della produzione di mappe individuali, gli studenti potranno utilizzare forbici e colla. Se Wittgenstein produceva le sue opere filosofiche tagliando e incollando, non si vede perché uno studente di scuola secondaria debba arricciare il naso di fronte a queste operazioni manuali.)

A questo punto, si cercheranno eventuali collegamenti trasversali, che andranno debitamente etichettati. In ogni fase del lavoro, si potrà procedere a modificare e ad arricchire la mappa, anche con concetti che non erano presenti nella lista iniziale delle idee importanti.

Si presentano quindi i criteri di valutazione della mappa, motivandoli in modo adeguato.

Adesso, la classe è pronta per passare al lavoro individuale (in una fase intermedia, si può prevedere un lavoro in piccoli gruppi). Ogni studente può scegliere un brano dal libro di testo e costruirne la mappa. E' fondamentale che il docente non intervenga soltanto alla fine, quando si tratta di valutare la mappa. Egli deve invece osservare il processo di costruzione, insistendo soprattutto su una scelta "personale" dei concetti più importanti e facilitando il lavoro, se necessario, agli studenti che si trovino in imbarazzo.

E’ possibile elaborare mappe dai diversi livelli di dettaglio; mappe generali che presentino l'ossatura di un intero corso o mappe specifiche, relative a singoli capitoli o paragrafi (è un po' come cambiare il fattore di ingrandimento di un microscopio). E' possibile appendere mappe dettagliate a mappe più generali, ecc.

Conclusione

La differenza principale tra la mappa concettuale e lo schema tradizionale sta nel fatto che la mappa concettuale viene espressamente, "istituzionalmente", utilizzata per un lavoro didattico mirante all'apprendimento significativo. Se l'insegnante dà importanza a questo strumento (o ad altri equivalenti) egli, implicitamente, rafforza la centralità degli obiettivi che lo strumento aiuta a conseguire. Dunque, la mappa concettuale dovrebbe venire annoverata tra i metodi di valutazione "ufficiali"; l'insegnante può prevedere, nella sua programmazione, compiti in classe basati sulla costruzione di mappe.

 


NOTE

(1) Un'esposizione particolareggiata del metodo delle mappe concettuali (e del metodo del diagramma a V, che non è oggetto del presente lavoro) si trova in J.D. Novak e D.B. Gowin, Imparando a imparare, S.E.I., Torino, 1989.

(2) Una panoramica delle teorie dell'apprendimento cognitiviste fino al 1985 si trova in P. Boscolo, Psicologia dell'apprendimento scolastico, UTET, Torino, 1986. Una introduzione alla psicologia cognitivista è, p.es. R. Luccio, "La psicologia cognitivista", in P. Legrenzi (a cura di), Storia della psicologia, Il Mulino, Bologna, 19822, pp. 227-250. Ambedue i volumi sono forniti di un ricco apparato bibliografico.

(3) Si veda, in proposito, J.R. Eiser, Psicologia sociale cognitivista, Il Mulino, Bologna, 1983. Una metodologia didattica basata su principi cognitivisti mira, in due parole, al rafforzamento del sé dello studente – un rafforzamento che viene conseguito anche attraverso modalità relazionali basate sul rispetto e sulla fiducia. Come si vedrà nel seguito, tali modalità di relazione costituiscono una componente irrinunciabile del metodo. Tutto ciò presenta una stretta connessione con un tema apparentemente lontano, cioè la prevenzione delle tossicodipendenze e il lavoro sul disagio giovanile. Senza nulla togliere ai programmi specifici, un'autentica opera di prevenzione si attua, in modo diffuso, nella didattica quotidiana. Su questo tema, e sul nesso tra stile di lavoro del docente e prevenzione delle tossicodipendenze, si può vedere M. Ravenna, Adolescenti e droga, Il Mulino, Bologna, 1993, soprattutto al cap. 8, "La prevenzione".

(4) In tal senso, un testo prezioso e ricco di indicazioni pratiche è AA.VV:, Competenze trasversali e comportamenti organizzativi, Franco Angeli, Milano, 1994.

(5) R. Case, Intellectual Development: Birth to Adulthood, Academic Press, New York, 1985; J. Pascual-Leone, "Constructive Problems for Constructive Theories", in R. Kluwe e H. Spada (a cura di), Developmental Models of Thinking, Academic Press, New York, 1980.

(6) Si veda J. R. Anderson (a cura di), Cognitive Skills and Their Acquisition, Erlbaum, HillsDale, 1981.

(7) Ma carta e forbici possono essere di aiuto.

 

Alberto Emiliani


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