DIDATTICA: Materiali
 

INTEGRAZIONI PEDAGOGIA ITALIANA
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ERNESTO CODIGNOLA: 

Il problema del metodo didattico e giustificazione dell'esigenza metodica. Dall'analisi del testo "Avviamento allo studio della pedagogia (1938)"

(a cura del gruppo di lavoro corso I.MRS, novembre 2001)

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  Premessa

  Ernesto CODIGNOLA, filosofo, pedagogista e uomo politico nasce a Genova nel 1885 e muore a Firenze nel 1965. Neo - idealista, collaboratore di Giovanni GENTILE, aderì al fascismo e diffuse in Italia le teorie dell”attivismo scolastico”. Docente di pedagogia nel magistero di Firenze, si è occupato sia come uomo di studio sia come studioso e politico dei problemi legati all’educazione ed alla preparazione dei maestri.

Direttore di collane scientifiche e di riviste come “Levana”, “La nuova scuola italiana”, “Scuola e città”, fu tra i fondatori della casa editrice “La Nuova Italia”. Le sue opere principali sono: “La pedagogia rivoluzionaria” (1919); “Educatori moderni” (1926); “Le scuole nuove e i loro problemi” (1946).

Nel 1923 collaborò con Giovanni GENTILE alla nota riforma scolastica. Il CODIGNOLA riprese proprio il pensiero filosofico di quest’ultimo: l’educazione è sviluppo, libertà, creazione; il rapporto tra maestro e scolaro è dialettico.

Lo spirito è libertà, sviluppo, autocoscienza, e la pedagogia deve tornare alla filosofia. Tutta la vita è educazione. Maestro e scolaro si identificano nell’atto educativo. Contrapposizioni ingiustificate:

- natura - cultura;

- persona - società;

- autorità - libertà;

L’istruzione è disciplina, l’educazione processo storico. L’essenza dell’uomo è spiritualità che sfugge alle classificazioni. La didattica è atto, insegnamento, forma del sapere: arte religione e filosofia. Libertà di insegnamento, tradizione culturale, selezione scolastica.

Secondo CODIGNOLA la preparazione degli insegnanti doveva tendere ad alimentare una fede viva nel pensiero, pertanto la scuola normale (che preparava i futuri docenti) doveva trasformarsi in “Ginnasio - Liceo Magistrale” basato su studi di carattere classico e filosofico, linfa che alimenta quella fede viva di cui abbiamo fatto cenno precedentemente. CODIGNOLA si configura come pensatore che ha anticipato delle idee innovative in campo pedagogico: dopo trent’anni l’istituto Magistrale si trasformerà in Liceo Pedagogico; il modello di “scuola - città Pestalozzi” che fondò a Firenze si può ritenere un modello scolastico ancora oggi all’avanguardia.

Si tratta di un vero esperimento di scuola attiva in cui, parallelamente alle attività didattiche si svolgeranno attività particolari di partecipazione diretta degli alunni alla vita, attraverso la strutturazione della scuola come una mini città con occupazioni, problemi, relazioni. Purtroppo l’esperienza non ebbe seguito ma restò circoscritta all’esperimento fiorentino.

    CODIGNOLA cerca le coordinate dell’efficacia dell’educazione e ritiene che essa sia:

à      nel valore della concezione della vita che l’educatore ha;

à      nella conoscenza profonda dell’oggetto di insegnamento;

à      nel possedere un orientamento filosofico, nella capacità, cioè di vedere chiaramente nei problemi alla cui soluzione deve avviare gli altri. Si tratta di una coerenza interiore, di una fede di cui è deficitaria la scuola moderna rispetto a quella passata che almeno ha un orientamento religioso.

            Ma come si formano queste variabili che devono caratterizzare il docente? Siamo di fronte ad un problema di carattere filosofico: la pedagogia che è una forma di fare che chiamiamo educare è una scienza filosofica, è un aspetto di indagine della filosofia.

 La filosofia nel tempo diventa autocoscienza critica e sistematica della realtà come SPIRITO.

  PRESUPPOSTO SCIENTIFICO DI CARATTERE FIOLOSOFICO - PEDAGOGICO

  Da sempre i filosofi hanno cercato di capire su che cosa si fonda la realtà.

à      I presocratici lo cercano in qualcosa di materiale (acqua, aria e fuoco) solo;

à      ANASSAGORA sostenne che la realtà è retta da una intelligenza.

à      PLATONE crede in un mondo ideale al di fuori dei nostri sensi.

à      ARISTOTELE afferma che oggetto di scienza è il non sensibile (ciò che non possiamo conoscere con i sensi), ma l’idea, l’universale è la forma che è nella materia.

à      Stoici ed epicurei non cercarono più la verità ma la felicità preparando la strada al Cristianesimo secondo cui la verità si trova nel mondo dello spirito;

à      Nel Medio Evo la filosofia, affermando che Dio crea la realtà, si impegna nella ricerca degli attributi di Dio.

à      La filosofia scolastica cerca di collegare la vita dello spirito alla vita del mondo.

à      Nel Rinascimento la natura è al centro del pensiero filosofico. La convinzione che la natura si possa indagare le scienze fisico - matematiche nel 1600.

à      KANT si chiede come si possa conoscere a priori cioè senza fare esperienza con i sensi; secondo lui la fonte della conoscenza è una conoscenza generale, l’io trascendentale. KANT afferma che la natura, se la si vuol conoscere è libertà, autonomia, soggettività.

 

Da questa affermazione:

l'idealismo intenderà che il mondo oggettivo non è qualcosa di estraneo al soggetto ma è un momento del processo in cui lo spirito prende coscienza di sè. Secondo Hegel (il più grande degli idealisti) la filosofia è "il processo attraverso cui il pensiero scopre se stesso".

 Da qui si orienta: "la filosofia moderna: non è più filosofia dell'essere, dell'oggetto, ma filosofia della mente, del soggetto. Lo spirito è attività creatrice, quindi la filosofia è consapevolezza di questa attività".

ESIGENZA DEL METODO

  Da queste esigenze nasce il problema del metodo didattico.

            Quali principi devono guidare l’insegnamento?

Questa è stata la preoccupazione dei pedagogisti fin dal 1600 quando le ricerche sui nuovi metodi scientifici di fisica e matematica avevano spinto a ricercare un metodo naturale che indicasse all’istruzione “una strada breve e giusta”.

Le regole della didattica devono derivare dall’intelletto, dalla memoria, dai sensi, dall’intero uomo in definitiva e dalle lingue, dalle arti e dalle scienze.

La preoccupazione del metodo investe i primi organizzatori di Istituti Magistrali che pensano di preparare i futuri insegnanti con un tirocinio didattico - professionale.

LAKANAL, nella sua relazione che accompagnava la legge di istituzione a Parigi della prima scuola normale, diceva che “non si sarebbero insegnate le scienze ma l’arte di insegnare”, in modo tale che gli alunni uscendo sarebbero stati uomini istruiti e capaci di istruire: solo così si sarebbe avuta unitarietà di metodo in tutta la Francia.

 LAKANAL come altri studiosi di indirizzo cartesiano credevano che saper condurre l’intelletto degli altri come il proprio fosse un problema del metodo. E questa era l’idea della cultura del tempo basata sul concetto di legge fisico - matematica del Naturalismo. Già qualche anno prima in Italia, Giuseppe II aveva istituito la “scuola di metodo” che preparava i futuri insegnanti e nel 1884 la 1^ cattedra di Pedagogia era chiamata “Scuola Superiore di metodo”.

Nel 1859 la legge Casati organizza la preparazione dei maestri dando spazio alla cultura ed alla Pedagogia che doveva fornire una preparazione tecnico - metodica, compito che la Pedagogia si porterà fino alla Riforma Gentile del 1923, basata sul concetto filosofico che la preparazione di un insegnante da tecnico - professionale deve avere un taglio umano e culturale. Si trasforma così l’insegnamento della Pedagogia in insegnamento filosofico che si acquisisce con la lettura dei classici del pensiero. La riforma gentiliana abolì pertanto il tirocinio svolto in classici “modello” annesse alle scuole normali che si risolveva in una inutile perdita di tempo.

 

Da qui nascono vari aspetti della filosofia in base all’indagine che si opera:

 

 

 

            Tutte queste attività hanno un collegamento nell’unità dello spirito.

    La pedagogia è dunque una scienza filosofica, pertanto può permettere di vedere più a fondo nella realtà, ma non dà la soluzione ai problemi; può chiarire quali siano le leggi, principi e ritmo dell’educare. Siccome EDUCARE è un impegno a risolvere problemi sempre nuovi la pedagogia non può essere considerata una scienza pratica o normativa (piena di regole), perché in questo caso toglie originalità all’atto educativo (che è sempre assoluta libertà creatrice), illude il docente di possedere un valido strumento al suo operare, privo invece di valore che lo distrae dal suo compito: cercare soluzioni ai problemi restando sempre aderente alla realtà.

 

CONCLUSIONI

CODIGNOLA pensa che ciò che caratterizza il maestro sia la sua personalità più che la capacità tecnica o la cultura astrattamente considerata. Il suo pensiero per la sua sensibilità di pensatore si ritrovano nella riforma GENTILE: preparazione non è ricchezza di nozioni perché l’educazione non è un processo di formazione eterodiretta sia pure condotta con criteri rigorosamente scientifici tratti da biologia, fisiologia, psicologia , sociologia.

L’educazione è una stimolazione di forze interiori che procedono per la loro via ed è un’illusione pensare di indirizzarle e dominarle dal di fuori. Ma nessuna scienza può darci il filo d’Arianna del misterioso labirinto di conoscenza ed intelletto. La cultura scientifica può prepararci ad interpretare in modo più adeguato reazioni e risposte, ma l’interpretazione ultima è sempre frutto di intuito, in parte naturale, in parte potenziato e disciplinato dall’educazione. Può parlare alla coscienza ed all’intelletto solo chi ha imparato le lezioni dell’esperienza, ad accogliere le ragioni dell’altro, a superare gli egoismi, i propri interessi. L’uomo colto non è chi sa molte cose, ma chi sa bene quelle che sa, sia pure in un campo limitato ed ha consapevolezza dei propri limiti. L’uomo colto non è chi ha una infarinatura di tutto, ma chi è in grado di colmare le sue lacune.

In conclusione CODIGNOLA crede molto nell’uomo umile, sensibile, consapevole, piccole qualità che rendono l’uomo grande ed anche un grande professionista: un suggerimento valido in tutte le società di tutti i tempi.


Antologia da 

Ernesto CODIGNOLA “Avviamento alla studio della pedagogia”,   LA NUOVA ITALIA EDITRICE, Firenze, 1^ ed. 1938, pp.44/48 da ed. 5^, 1967

- Il problema del metodo didattico

Da esigenze analoghe è nato il problema del metodo didattico, vale a dire la ricerca di princìpi generali cui spetterebbe di guidare l'insegnamento scolastico.  

Sin dalle prime origini della didattica moderna, con Ratke e con Comenius nel '600, il problema del metodo ha assunto un posto preponderante nelle preoccupazioni dei pedagogisti. La suggestione esercitata dai trionfi dei nuovi metodi d'indagine fisico-matematica, li indusse a ricercare un metodo naturale, che presignasse  "all’ istruzione una strada breve e giusta" . speciale, sulla quale possa regolarsi e alla quale debba attenersi chiunque voglia insegnare" (1- Cfr. il mio Problema educativo, II, pag.77). E già i ratichiani ponevano il problema nei termini in cui rimase per tutto il secolo XIX: da un lato didattica delle singole facoltà, dall'altro didattica delle singole discipline da insegnare. La didattica deve possedere "i suoi saldi fondamenti e determinate regole, che derivano così dalla natura dell'intelletto, della memoria, dei sensi, anzi dell'intero uomo, come dalle peculiarità delle lingue, delle arti e delle scienze" (2- Ivi). Comenius sperava in tal modo, con il suo grande candore, di poter "dare alle scuole", con l'aiuto dell'Altissimo, "un ordinamento tale che corrispondesse a puntino a quello di un orologio costruito proprio a regola d'arte". La meccanicità e precisione dell'orologio rimase sempre, lo confessino o no, l'ideale di tutti i difensori del metodo scolastico. E neppure Pestalozzi si sottrasse alla malia di questo ingannevole miraggio. Ma, fortunatamente, nessuno ha scoperto ancora lo strumento capace di segnare il tempo dello spirito!   La preoccupazione metodica travaglia altresì i primi organizzatori degli istituti di cultura magistrale. Essi tendono sempre a far coincidere la preparazione dei futuri insegnanti con un tirocinio didattico tecnico-professionale. Nella relazione che accompagna la legge 9 brumaio a.III (30 ott. 1794), con cui la Convenzione istituiva a Parigi la prima scuola normale, il Lakanal, che l'aveva stesa, diceva con molta enfasi, che in essa non si sarebbero  “insegnate le scienze, ma l’arte di insegnarle”, che all’uscire da essa, gli alunni “non dovevano essere soltanto uomini istruiti, ma capaci d’istruire”, e che finalmente si sarebbe visto una buona volta dominare un unico metodo d’insegnamento in ogni punto della Francia, “il metodo della natura e del genio” (1 -ALBERT DURUY, L’inst. Pub. et la Rèvolution, p. 113). Pareva al Lakanal, come ad altri enciclopedisti di educazione cartesiana, che saper condurre l’intelletto degli altri come il proprio fosse meramente problema di metodo. Né il caso era isolato. Tutta la cultura del tempo era orientata in questo senso. L’ideale era il concetto di legge fisico - matematica diffuso dal naturalismo. Già qualche anno prima, in Italia, quando Giuseppe II istituì una scuola per la formazione dei maestri affidata a padre Soave, la chiamò “scuola di metodo”, e la prima cattedra di pedagogia in Italia, quella fondata nel 1844 a Torino dal governo piemontese e affidata all’Aporti, fu denominata “scuola superiore di metodo”, da cui dipendevano le “scuole provinciali di metodo” della durata di tre mesi.

            Quando la legge Casati, nel 1859, organizzò per la prima volta con serio discernimento la preparazione dei futuri insegnanti elementari, si capì che doveva essere fatta larga parte anche alla cultura e la preparazione tecnico - metodica fu riservata alla pedagogia e più tardi al tirocinio. Questo compito affidato alla pedagogia nella preparazione dei futuri maestri durò, almeno in Italia, sino alla riforma Gentile del 1923, che, muovendo dal concetto, cui era giunto il movimento filosofico, che la formazione del futuro insegnante non si deve intendere in modo grettamente tecnico – professionale, ma in un più largo senso umano e culturale, trasformò l’insegnamento della pedagogia in un insegnamento filosofico, da conseguire mediante la lettura diretta dei classici del pensiero e per la medesima ragione abolì anche il tirocinio, che era fatto in classi elementari così dette modello annesse alle scuole normali e si risolveva per lo più in un perditempo inutile.

- Giustificazione dell’esigenza metodica

  Sarebbe però poco intelligente negare ogni valore ad un’esigenza così pertinace e che ancora oggi trova partigiani numerosi e convinti. Noi pensiamo ch’essa debba essere non già respinta senz’altro, ma appagata in modo più consentaneo al moderno concetto dello spirito.

            Non possiamo illustrare qui quale significato storico concreto questa esigenza abbia sempre nei vari periodi. Ci limiteremo a pochi esempi. Con i primi didattici del seicento, vedemmo, essa è collegata all’intuizione naturalistica della vita spirituale, intuizione oggi inaccettabile, ma a suo tempo originale e feconda. Per i primi organizzatori della scuola elementare e di una più adeguata cultura degli insegnanti, scelti a lungo fra gente sprovvista di qualsiasi preparazione, barbieri, sottoufficiali a riposo, donnicciole ignoranti, la ricerca di una preparazione tecnico - metodica attesta la preoccupazione del tutto giustificata di dare all’insegnamento elementare una struttura, un’unità, una tradizione. In questo e in altri casi, per es. nella travagliosa indagine pestalozziana di un “metodo elementare”, la ricerca del metodo è un problema serio, nato da esigenze concrete e vitali, anche se esso non era posto in modo chiaro. Ma quando della didattica e della metodica si impadronirono nel corso del secolo passato i professionali della scuola, herbartiani o no, privi di adeguata consapevolezza filosofica e sordi ai profondi interessi umani, che non possono non costituire la trama del tessuto di ogni insegnamento efficace, pullularono le oziose questioni metodiche astratte, insulse e inconcludenti e soffocarono a lungo come vegetazione parassitaria i più seri e vitali interessi pedagogici. Occorse allora un’energica reazione rivoluzionaria per spazzare la scuola dai fastidiosi legiferatori a vuoto.

            Si accentuò allora energicamente l’infecondità delle distinzioni e suddistinzioni didattiche e l’inesistenza di un problema del metodo, come alcunchè di avulso dal concreto procedimento dei singoli rami del sapere (il metodo da seguire nell’insegnamento matematico non è altro che il concreto processo con cui si costruisce la dimostrazione matematica, ecc.) o dalla storica personalità del docente. Il metodo vivo, si proclamò allora, è il maestro.

            Questo atteggiamento polemico contro la didattica metodologica fu una necessità storica e come tale salutare, ma finì tosto, in menti poco adusate al rigore filosofico, col degenerare in una presuntuosa e superficiale negazione del faticoso e fecondo lavorio con cui la civiltà moderna è venuta creando nella nuova scuola elementare una tradizione didattica, che non solo occorre rispettare e arricchire incessantemente con le nostre indagini, ma considerare come momento ineliminabile di qualsiasi azione educativa seria e proficua.

            E’ un punto che merita di essere indagato un po’ a fondo.  



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