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Scienza dell'organizzazione pubblica

(integrazioni)

Bozza per una storia della S.O.
(Dubla, 2001)

 

CENNI DI STORIA DI SOCIOLOGIA DELLE ORGANIZZAZIONI

Organizzazione, in sociologia, è l'attività di coordinare persone e cose allo scopo di svolgere funzioni determinate e, per estensione, il sistema così costituito. L'iniziatore dello studio delle organizzazioni è stato M. Weber (Economia e società, 1922). Nella  burocrazia egli vide la forma fondamentale di organizzazione dello stato e delle imprese moderne che operano in base a norme universalistiche e con finalità razionalizzatrici. Nel mondo anglosassone lo studio delle organizzazioni si è diretto soprattutto verso le imprese industriali a opera del Tavistock Institute, della Harvard School of Business e dell' università del Michigan, che hanno associato strettamente la ricerca scientifica all'applicazione pratica e alla formazione dei dirigenti. Le teorie dell'organizzazione derivanti da tali esperienze trovano però sempre più frequenti applicazioni in altri campi (scuola, ricerca, sanità, politica ecc..). Degli elementi che costituiscono un'organizzazione sono stati studiati anzitutto gli aspetti formali così come essi sono ufficialmente stabiliti (organizzazione formale). In base ai risultati di ricerche condotte in USA agli inizi degli anni Trenta, la scuola delle «relazioni umane» (E. Mayo, E. Roethlisberger) ha richiamato l'attenzione sull'organizzazione informale, che esprime le motivazioni anche inconsce degli individui e dei vari gruppi spontanei che agiscono tra le pieghe dell'organizzazione formale. Più recentemente alcuni studiosi hanno introdotto il concetto di organizzazione reale (risultato di adattamenti e modificazioni richieste dalla prassi quotidiana), rispetto alla quale quella formale rappresenta il modello teorico.
Le funzioni all'interno di un'organizzazione si articolano in ruoli interagenti fra loro, cioè in insiemi di comportamenti definiti, che obbediscono a regole conosciute dai membri dell'organizzazione, cosicché ciascun ruolo diventa per gli altri un insieme di aspettative riguardo ai comportamenti e ai compiti che costituiscono quel ruolo (T. Parsons). Le funzioni diventano ruoli perché esiste una divisione del lavoro: questa è articolata sia orizzontalmente in compiti che si collocano al medesimo livello sia verticalmente prendendo forma di una gerarchia di livelli, ciascuno dei quali controlla quello sottostante. A ogni ruolo compete uno status corrispondente a quello del livello gerarchico in cui è collocato. L'interesse della sociologia dell'organizzazione per il ruolo dei dirigenti piò essere fatto risalire all'opera di C. Barnard, Le funzioni del dirigente (1938). Ma tale interesse era stato preceduto di alcuni decenni dall'elaborazione di un modello di «organizzazione scientifica del lavoro» (scientific management) da parte di F. W. Taylor ( taylorismo). Il scientific management è un insieme coerente di criteri normativi e di regole pratiche secondo i quali, ai vari livelli di responsabilità, l'azienda viene organizzata così da massimizzare l'efficienza economica.

Le relazioni che si instaurano all'interno dell'impresa non sono però esclusivamente economiche. La scuola statunitense delle «relazioni umane» si è proposta di rendere più realistico il modello del scientific management, introducendo la considerazione degli aspetti psicologici dei rapporti interpersonali che costituiscono l'organizzazione. A. Etzioni (Sociologia delle organizzazioni, 1961) ha individuato tre forme distinte di potere esercitato nelle organizzazioni (normativo, coercitivo, remunerativo), cui corrispondono altrettanti tipi di impegno (morale, utilitaristico, alienato). La congruenza tra potere esercitato e impegno richiesto è una condizione necessaria del conseguimento degli obiettivi da parte dell'organizzazione.

Collegata con lo studio del ruolo dei dirigenti nelle organizzazioni gerarchiche è l'analisi delle procedure razionali di scelta ai vertici dell'organizzazione. Le decisioni sono tanto più razionali quanto più si basano su informazioni esatte ed esaurienti. Ma disporre di dati esatti e completi permette un comportamento ottimizzante solamente se il costo dell'informazione è trascurabile, e ciò è impossibile in caso di informazioni complesse. Le decisioni al vertice vengono per tanto sempre prese in condizioni di incertezza (J. March, H .Simon, Teoria dell'organizzazione, 1958) e in base a criteri di «razionalità limitata».

All'interno dell'organizzazione gerarchica il flusso dell'informazione procede dall'alto verso il basso e selettivamente verso i livelli intermedi (che detengono informazioni sulle risorse disponibili e sulle regole di assegnazione ai diversi impieghi) e verso i livelli inferiori, che hanno scarso o nullo potere decisionale, divenendo via via più specifico. Il flusso informativo in senso opposto riguarda l'avvenuta esecuzione delle decisioni, nonché la segnalazione di anomalie e «disturbi» imprevisti.
 

Ricerche più recenti, partendo dal riconoscimento dell'inadeguatezza di una concezione dell'organizzazione come sistema chiuso, del tutto isolato dal resto della società, hanno affrontato il problema del rapporto tra organizzazione e ambiente, sviluppando un approccio sistemico (P.R. Lawrence e J.W. Lorsc ,Organizzazione e ambiente, 1967). Il rapporto tra organizzazione delle imprese industriali e tecnologia è stato studiato, tra gli altri, da J. Woodward (Organizzazione industriale, 1965). Un tema di rilievo della sociologia delle organizzazioni è, infine, quello della conflittualità interna, considerata sia come conseguenza inevitabile del rapporto gerarchico e della divisione del lavoro sia, entro certi limiti, come soluzione delle tensioni nell'organizzazione stessa (L. Coser, M. Crozier). L'integrazione interna all'organizzazione non dipende però soltanto da cause endogene ma anche dalla legittimità che il resto della società riconosce agli scopi dell'organizzazione stessa.

La sociologia delle organizzazioni si è rivolta anche allo studio delle organizzazioni non industriali (servizi sociali, ospedali, partiti, sindacati, enti pubblici) e all'ideazione di modelli alternativi di organizzazione. Caratteristiche di questi modelli alternativi, oggetto di sperimentazione in vari paesi, sono la divisione orizzontale del lavoro, la rotazione dei ruoli, la circolazione libera dell'informazione, la possibilità di controllo dell'organizzazione da parte dei suoi membri. Ma la loro realizzazione non può prescindere dalla instaurazione, nel sistema esterno, di condizioni più appropriate: attenuazione delle disuguaglianze, diffusione di valori collettivistici e solidaristici, crescita non eccessiva delle dimensioni delle organizzazioni.

dalla voce "organizzazione" dell'Enciclopedia Garzanti di Filosofia, ed.1986, pp.663-64
 
 
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