Demostene(384/322a.C.), Cicerone(106/43a.C.), Quintiliano(35/98)

dal gruppo seminariale su: 

Le radici classiche dell'arte della comunicazione

In questa relazione seminariale,  frutto di appunti riveduti e il supporto del materiale come esposto nella successiva bibliografia e siti Web, si approfondisce il concetto di comunicazione analizzando le sue radici classiche
          a cura di:
 AVELLINO Pietro; CATALDO Giuseppe; ESPOSITO Davide
(corso I.MRS, novembre 2002)

coordinamento: prof. F.Dubla

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SOMMARIO (pagine a stampa)

 


paragrafo su:

Eloquenza e filosofia nel de oratore

Il De oratore, composto nel 55 a. C., è un dialogo in tre libri: un dibattito sulla natura e la funzione dell'eloquenza, ambientato nel 91 a. C., al quale Cicerone immagina prendano parte i più insigni oratori dei tempi della sua giovinezza, tra i quali Antonio e Crasso.

 

Forma letteraria
del De oratore

La forma letteraria del De oratore (esemplata sui dialoghi di Platone e di Aristotele)costituisce una novità assoluta nella cultura romana: i precetti della retorica non sono esposti in maniera sistematica e didascalica, ma in un dialogo che ha l'andamento ondeggiante della conversazione reale; e l'aridità dei manuali è superata facendo delle scelte retoriche un'espressione della personalità dell'oratore, fondata in primo luogo su una prodigiosa esperienza del foro e dei tribunali romani.

 

L'oratore
ideale

 

L'oratore ideale che Crasso dipinge combacia largamente con l'ideale di uomo politico che Cicerone raffigurerà nel De re publica. Al fine di poter incidere con la forza della parola in ogni settore dell'esperienza umana, all'oratore è richiesta - oltre alla piena padronanza delle tecniche retoriche della persuasione - una vastissima cultura generale, al cui interno un ruolo privilegiato è attribuito alla filosofia morale: insegnando a leggere nei cuori, questa si rivela della massima utilità per agire con efficacia sull'animo degli ascoltatori, ma è anche un mezzo per educare l'oratore al rispetto dei valori sui quali poggia la res publica.

 

La concezione dell'unità 
della cultura

       La concezione ciceroniana dell'unità della cultura risponde anche alla preoccupazione di mantenere unite le forme di sapere che concorrono al rafforzamento del potere dell'aristocrazia. Per custodire, con la propria autorevolezza, le istituzioni e le tradizioni, l'oratore deve essere insieme filosofo, giurista e uomo di stato. Così Cicerone fonda la supremazia dell'oratore - prima che sul suo rango sociale o sulla vastità delle clientele - sull'autorità morale e politica, sulla vasta formazione culturale che si traduce in una superiore capacità di valutazione dei comportamenti. Ma altrettanto importante è l'intento di affermare la dimensione "artistica" dell'eloquenza: di qui la frequente insistenza sul piacere che essa provoca agli ascoltatori.

 

Cicerone e 
gli atticisti

Nel Brutus, composto nel 46 a. C. sotto la dittatura di Cesare, Cicerone riprese, dopo diversi anni, la riflessione sull'oratoria. Da qualche tempo gli orientamenti fondamentali della sua eloquenza venivano messi in discussione da un gruppo di oratori più giovani, i cosiddetti atticisti. Le loro preferenze andavano a uno stile piano, conciso, incisivo, per il quale si ispiravano a modelli dell'eloquenza ateniese come Lisia; criticavano Cicerone per non avere preso sufficienti distanze dallo stile "asiano": egli appariva loro troppo ridondante di parole e troppo attento agli effetti del ritmo e della sonorità.

 

Cicerone come culmine 
dell'oratoria 
romana

       Anche il Brutus è un dialogo, che ha per protagonisti l'autore stesso, l'amico Attico e Bruto. Dedicando l'opera a quest'ultimo, Cicerone si proponeva di sottrarre all'influenza degli atticisti un personaggio che gli pareva ben avviato verso la carriera di oratore. Egli si sforzò di delineare le proprie preferenze stilistiche nel quadro di una storia dell'eloquenza romana, dalle origini fino all'epoca attuale, ricostruita con grande talento di critico letterario. In questo contesto Cicerone colloca la propria stessa produzione, puntando a enucleare le caratteristiche salienti che avevano fatto del suo stile oratorio il più originale che Roma avesse mai conosciuto: la mirabile varietà dei toni, la capacità di mettere in luce le implicazioni generali delle cause in questione, l'abbondante uso dell'umorismo, il ricorso alla filosofia e alla storia, la sovrana abilità nel pilotare le emozioni dell'uditorio.

 

Contro gli atticisti: necessità 
di uno stile vario 
e potente

       La linea di difesa adottata da Cicerone nei confronti degli atticisti consiste in primo luogo in una ridefinizione dello stesso "stile attico", la quale, contro allo stile smagrito ed esangue di Lisia, privilegia il modello di Demostene, l'oratore più grande e più vario che Atene avesse conosciuto. Ma nei confronti degli atticisti Cicerone avanza anche una seconda importante obiezione: il valore dell'eloquenza si misura sulla capacità di persuadere larghe masse di persone; quindi il metro per giudicare l'eloquenza deve essere costituito dal successo che essa riscuote presso il popolo, prima che dal parere degli intenditori dall'orecchio raffinato e dal gusto elegante. Si richiede pertanto non uno stile sobrio e misurato quale quello che gli atticisti privilegiavano, ma uno stile dagli effetti potenti e grandiosi, tali da scuotere in profondità le coscienze.

 

 

L'Orator

La polemica con gli atticisti continuò nell'Orator, un trattato anch'esso dedicato a Bruto: tesi fondamentale dell'opera è che l'oratore veramente grande sa eccellere in tutti i registri dello stile, e in particolar modo in quello "grandioso" e commovente, capace di smuovere con violenza gli animi degli ascoltatori: una capacità che, a giudizio di Cicerone, mancava totalmente all'eloquenza troppo controllata degli atticisti.

 

Bibliografia del seminario
 
Web:

 

 

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