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Scienza dell'organizzazione pubblica

(integrazioni)

  APPENDICE STORICA PER LO STUDIO DELLA SCIENZA DELL’ORGANIZZAZIONE

Interpolazione e antologia tratta da

Amitai Etzioni: Sociologia dell’organizzazione, 1964

 

Premessa

 

La società occidentale è una società di organizzazioni: le persone nascono e sono educate in organizzazioni, lavorano per organizzazioni e moriranno in organizzazioni. La società moderna è basata in gran parte dalle organizzazioni, che coordinano un gran numero di azioni umane e sono strumento sociale di grande potenza. La società moderna ha tante organizzazioni che soddisfano una grande varietà di bisogni personali e sociali; le organizzazioni moderne sono molto efficienti grazie ai cambiamenti avvenuti nella natura della società che hanno reso l’ambiente sociale più adatto alle organizzazioni.

Lo specifico indirizzo seguito nel trattare la struttura delle organizzazioni, può considerarsi come una sintesi degli indirizzi seguiti da due scuole di pensiero: quello formale, seguito dalla scuola detta della Direzione Scientifica e quello informale, seguito dalla scuola detta delle Relazioni umane. La sintesi che emerge da questi due indirizzi è l’indirizzo strutturalistico, che unisce lo studio degli aspetti formali a quello degli aspetti informali ed introduce una serie di dimensioni nuove nello studio delle organizzazioni.

  La teoria classica delle organizzazioni

 

Le organizzazioni, per definizione, sono unità sociali o raggruppamenti sociali deliberatamente costruiti per il raggiungimento di fini specifici.

La teoria classica dell’amministrazione, presentata nel modo più completo dalle opere di Gulick e Urwick [Papers on the science of administration, a cura di Luther Gulick, L.Urwick, New York, Institute of Public Administration, Columbia University, 1937] ha fatto della divisione del lavoro il suo assioma fondamentale; essa, infatti, si basa sulla premessa che, quanto più un determinato procedimento di lavoro è scisso nelle sue componenti più semplici, tanto più il lavoratore che compie una delle fasi del procedimento può divenire specializzato e quindi esperto nel compierlo. Quanto più l’operaio diviene esperto nella sua mansione particolare, tanto più efficiente è l’intero sistema di produzione. La divisione del lavoro, sempre secondo l’indirizzo classico, trova il suo completamento nel controllo centralizzato; quindi possiamo affermare che le caratteristiche dell’organizzazione sono:

1)       suddivisione del lavoro, del potere e delle responsabilità per le comunicazioni;

2)       la presenza di centri di potere che controllano l’organizzazione e la dirigono verso il suo fine;

3)       la sostituibilità del personale, vale a dire la possibilità di rimozione e di sostituzione del personale la cui attività non soddisfa l’organizzazione.

  I fini delle organizzazioni

 

Dal momento che abbiamo definito le organizzazioni come unità sociali che perseguono un fine specifico, si definisce fine dell’organizzazione una situazione desiderabile che l’organizzazione cerca di realizzare.

Il fine costituisce la guida programmatica dell’organizzazione ed è fonte di legittimazione in quanto giustifica le stesse attività organizzative, anzi, l’esistenza stessa dell’organizzazione.

Il ricercatore definirà fini reali dell’organizzazione quei futuri modi di essere della realtà alla cui realizzazione appaiono diretti gli sforzi della maggior parte dei membri dell’organizzazione e la maggior parte delle risorse.

“Un’organizzazione può rovesciare l’ordine di precedenza tra i fini e gli strumenti per realizzarli, trasforma i mezzi in fine ed il fine in un mezzo. Quando si formano centri d’interesse che si preoccupano più del mantenimento e dell’accrescimento dell’organizzazione che del raggiungimento degli scopi originari, si ha una distorsione dei fini e una degenerazione dell’organizzazione” [cfr. a questo proposito l’analisi di Michels applicata ai partiti politici, Robert Michels: La sociologia del partito politico, Il Mulino, 1966].

Il pericolo per un’organizzazione pubblica, come ha segnalato Merton [Robert K.Merton: Teoria e struttura sociale, Il Mulino 1966] è anche quando la sostituzione dei fini non avviene al vertice, ma nei ranghi organizzativi. Merton sostiene che l’inserimento in una struttura burocratica ha l’effetto di alterare la personalità dei membri di un’organizzazione, facendo sì che essi tendano a seguire rigidamente la lettera degli ordini e dei regolamenti. Il comportamento di routine di un gruppo può essere dedicato a problemi specifici e fini parziali che hanno importanza solo sotto un profilo interno.

Quindi:

“l’interesse dell’organizzazione all’autoprotezione, non solo può condurre alla sostituzione dei fini primari con fini secondari o elevare i mezzi a fini, ma spesso porta la stessa organizzazione a cercare fini nuovi se i fini originali sono stati raggiunti o si rivelano irraggiungibili, o ad aggiungere fini nuovi a quelli originali.” [cfr. Amitai Etzioni, Sociologia delle organizzazioni, Il Mulino, pag. 31]

L’uso del modello basato sui fini non è l’unico modo di valutare i risultati ottenuti da un’organizzazione. Piuttosto che mettere l’organizzazione a confronto con un modello ideale cui essa dovrebbe assomigliare, possiamo misurarne le prestazioni semplicemente confrontandola con altre organizzazioni – modello sistematico.

Questo vale anche per la misura dell’efficienza: invece che riferirsi a modelli ideali, è necessario comparare il possibile (ad es.: ricercare una lampadina che non disperde energia e calore - inesistente – o quella che ne disperde di meno?).

 

Efficacia ed efficienza

 

Va detto che il fine dell’organizzazione svolge diversi compiti: ha una funzione di orientamento in quanto descrive una situazione futura che l’organizzazione cerca di realizzare; serve come punto di riferimento ai membri dell’organizzazione e agli estranei per giudicare il successo dell’organizzazione e in che misura sia efficace ed efficiente. Le organizzazioni sono costituite per essere le unità sociali più efficaci e più efficienti, “l’efficacia di un’organizzazione è il grado in cui essa riesce a realizzare i suoi fini; efficienza è il rapporto tra il risultato ed i mezzi impiegati per ottenerlo” [cfr. Amitai Etzioni, op.cit., pag. 21]

 È importante sottolineare che efficacia ed efficienza, se pur strettamente connesse l’una all’altra, non sempre lo sono: per esempio una ditta efficiente può non realizzare alcun profitto perché il mercato tende al ribasso, mentre un’organizzazione inefficiente può realizzare profitti altissimi se il mercato in cui agisce è in forte espansione.

“Il meglio che le organizzazioni possono fare è di riconoscere che molti dei metodi che si possono adottare per la misura dell’efficienza sono ben lungi dall’essere precisi. Attribuire troppa importanza ad alcuni aspetti dell’attività organizzativa e trascurarne altri può avere come conseguenza una distorsione dei fini organizzativi e costituire un pericolo per l’efficacia e l’efficienza dell’organizzazione stessa.” [cfr. Amitai Etzioni, op.cit., pag. 24]

 La leadership

La leadership organizzativa, nelle sperimentazioni e osservazioni della sociologia industriale già a partire da Elton Mayo nel 1933 [cfr. F. Ferrarotti, Mayo Elton G., in “Enciclopedia italiana”, Appendice, (1949/60), II, pag.60] è la figura verso la quale si indirizzavano le preferenze di tutti i colleghi e che più di ogni altra impersonava le norme di gruppo; il suo consiglio era molto richiesto ed egli era quindi in grado di controllare il comportamento degli altri membri del gruppo. Inoltre, egli era ammirato per la sua capacità nell’ottenere risultati e, entro certi limiti, era il portavoce del gruppo nei confronti del resto del personale della fabbrica: in breve, egli aiutava il gruppo a funzionare come tale.

Nel gruppo con leadership democratica si svilupparono in grande misura relazioni affettive ed amichevoli tra i membri; i singoli partecipavano alle attività di gruppo con grande frequenza e, quando il leader si assentava, il gruppo dimostrava senso di responsabilità ed indipendenza,continuando a svolgere il proprio compito. Il gruppo caratterizzato da una leadership permissiva non ebbe grandi risultati, né per quanto riguardava il lavoro prodotto, né per quanto riguardava la soddisfazione del gruppo stesso.

 

Comunicazione e Metodologia della comunicazione formativa

 

Ogni uomo è per definizione un animale sociale, egli cioè non potrebbe costituirsi se non in relazione con l’altro da sé stabilendo una relazione, e ogni vera e autentica relazione è scambio reciproco possibile tramite la comunicazione, il rapporto interpersonale attivo. “La radice del termine comunicare deriva dai verbi Koinè in greco (partecipo) e Comunico in latino (metto in comune) quindi la comunicazione sottende un passaggio, un mettere in comune” [cfr. Ferdinando Dubla, Lezioni sui principi guida della metodologia della comunicazione formativa, Mariscuola Taranto, Luglio 2000, pag. 2] . Quando nella comunicazione è implicito un processo formativo, quando è presente un intento educativo, si parla di comunicazione formativa. La comunicazione formativa diventa comunicazione didattica quando è:

1)   di tipo intenzionale;

2)   quando questa intenzione è diretta ad un fine educativo e ad un apprendimento specifico, e richiede un’attività mentale di elaborazione da parte a. del docente tramite tecniche e metodi adeguati di insegnamento, b. del discente tramite la sua attività cognitiva;

3)   infine quando si sostanzia continuamente di comunicazione retroattiva, cioè feedback, vale a dire che in una comunicazione si ha “feedback” quando il ricevente si rende soggetto attivo della comunicazione, non ascolta passivamente ma è una comunicazione che ritorna sul soggetto originario della comunicazione.

 

La comunicazione specificata come formativa è volta a formare i formatori, cioè abilitare al ruolo di formatore. La comunicazione formativa è anche comunicazione interpersonale perché trasmissione tra soggetti umani. Per completare la definizione di comunicazione considerata come interpersonale-formativa, bisogna richiamare altri due concetti insiti nell’azione del comunicare: scambio e relazione. Perché vi sia comunicazione formativa interpersonale è necessario che vi sia uno scambio, un incontro tra soggetti che escono dalla propria individualità e si incontrano: c’è quindi una reciprocità dello scambio. La relazione fornisce il significato dello scambio, specifica di che tipo di scambio si tratta. Nel caso specifico, la relazione formativa è di tipo complesso, cioè tra soggetti che non sono sullo stesso livello.

Passiamo alla definizione del termine METODOLOGIA che, come ci suggerisce l’etimo, è lo studio del metodo, cioè si occupa del metodo nei campi dell’attività umana. La METODOLOGIA richiama a due concetti chiave: organizzazione e sistema. Per Metodologia si intende una serie di tecniche organizzative che, applicate ad una qualsiasi attività, tendono ad un fine, ad un obiettivo, cioè si parla di sistema organizzativo.

 

 

L’indirizzo delle relazioni umane applicato alle organizzazioni pubbliche

 

L’indirizzo delle relazioni umane è noto come reazione all’indirizzo formale classico ed è basato su elementi che erano stati trascurati o, comunque, tenuti in scarsa considerazione dalla “scuola” classica. Generalmente si riconosce in Elton Mayo il fondatore della scuola, ma John Dewey, indirettamente, e Kurt Lewin, direttamente, hanno contribuito in maniera notevole ai suoi inizi. Mayo ha scoperto che:

1)     la quantità di lavoro che un operaio è in grado di svolgere non è determinato dalla sua capacità fisica, ma dalla sua”capacità sociale”;

2)     le ricompense non economiche sono della massima importanza nel determinare la motivazione e la soddisfazione dei lavoratori;

3)     il più elevato livello di specializzazione non è affatto la forma più efficiente di divisione del lavoro;

 

4)     gli operai non reagiscono nei confronti dei dirigenti e delle norme da essi emanate come individui, ma come membri di gruppi.

 

La scuola delle relazioni umane ha messo in risalto l’importanza delle comunicazioni, della partecipazione e della leadership. Ciascuno di questi argomenti è stato oggetto di uno o più studi sperimentali, molti dei quali sono divenuti dei veri e propri classici, citati spesso da scienziati sociali di ogni estrazione. Possiamo dire anche che l’aumento di rendimento era dovuto al cambiamento nella situazione sociale degli operai, al mutamento nel loro livello di soddisfazione psicologica ed ai nuovi modelli di interazione sociale, tutti fenomeni che si erano avuti in seguito al trasferimento degli operai nella sala di osservazione dove essi si vedevano al centro dell’attenzione degli studiosi.

1) Il livello di produzione è determinato da norme sociali, non dalla capacità fisiologica degli operai, e sino a questo punto si era già giunti al termine degli esperimenti sull’illuminazione e sugli intervalli di riposo.

2) Punizioni e premi di indole non monetaria hanno grande influenza sul comportamento degli operai e pongono seri limiti all’efficacia dei progetti di incentivazione basati solo su fattori economici.

3) Spesso gli operai agiscono o reagiscono, non come individui, ma come membri di gruppo.

La scuola delle relazioni umane trasse da ciò la conclusione che la direzione non poteva trattare gli operai come se fossero individui isolati, ma doveva trattare con essi considerandoli membri di gruppi di lavoro, soggetti quindi all’influenza di tali gruppi.

A seguito di questi esperimenti e per influenza degli scritti di Mayo e Lewin, la scuola delle relazioni umane giunse a sottolineare l’importanza delle comunicazioni tra i vari livelli organizzativi, cioè la rilevanza di spiegare ai membri dei ranghi più bassi il perché della scelta di una particolare alternativa; l’importanza della partecipazione ai processi decisori, vale a dire del chiamare i membri dei ranghi più bassi a prendere parte ai processi di decisione organizzativi, specie per le materie che li riguardano direttamente; ed infine i vantaggi offerti dalla leadership democratica, cioè da quella leadership che non solo pone grande attenzione alle comunicazioni ed incoraggia la partecipazione, ma è anche giusta, non arbitraria e preoccupata dai problemi degli operai oltre che di quelli del lavoro in sé.

 

Riflessioni

 

La teoria classica dell’organizzazione si può considerare il corrispondente della teoria della concorrenza perfetta in economia, basata sul presupposto che la concorrenza perfetta (lo stato razionale per eccellenza) rende massimo sia il benessere dell’economia, sia quello delle varie unità che la formano. L’indirizzo delle relazioni umane era basato invece sul presupposto che l’organizzazione che fosse più apportatrice di soddisfazione fosse anche la più efficiente. Esso suggeriva che i lavoratori non sarebbero mai stati felici in un’ organizzazione fredda, formale e razionale, che soddisfacesse solo le loro necessità economiche. La scuola delle relazioni umane mirava a raggiungere un perfetto equilibrio tra i fini dell’organizzazione ed i bisogni dei lavoratori. Gli strutturalisti dovevano in seguito dimostrare che alienazione e conflitti sono fenomeni inevitabili e, a volte, desiderabili, e che il compito dello scienziato sociale non è quello di favorire il raggiungimento dei fini dei dirigenti o dei lavoratori: egli non ha il compito di migliorare l’organizzazione dei dirigenti, né quello di migliorare l’organizzazione dei lavoratori.

 

- Nella struttura organizzativa, riveste una straordinaria importanza il globale processo comunicativo: comunicare, per l’organizzazione, significa garantire un flusso di informazioni adeguato, una chiarezza dei messaggi, dunque come già detto un feedback costante. Partire dall’analisi del contesto, quindi, vuol dire trovare la comunicazione rispondente alla struttura organizzativa e mirare all’aumento delle conoscenze effettive di ogni membro impegnato.

Il corretto processo comunicativo va esso stesso organizzato e pianificato a secondo delle esigenze e dei fini strutturali; la rete comunicativa organizzata e prevista in relazione agli obiettivi che la struttura organizzativa si è posta può incontrare degli ostacoli di ordine psicologico: il rapporto tra ricevente ed emittente deve essere strettamente collaborativo poiché ogni messaggio è soggetto ad interpretazioni da parte del soggetto che le riceve, e quest’ultimo in assenza di motivazioni adeguate può interpretare il messaggio in maniera difforme dai significati voluti dall’emittente. Possono poi esistere ostacoli di ordine sociale: tra emittente e ricevente deve esserci comprensione.

Una comunicazione è tanto più efficace quanto più è diretta, cioè non vi sono passaggi di livello tra emittente e ricevente; nelle strutture organizzative i passaggi di livello comunicativo sono possibili in senso verticale (livelli svolgenti uguali funzioni ma con diverso grado responsabilità e di autorità) e in senso orizzontale ( livelli di pari ordine ma con funzioni diverse). Importante è strutturare un’ organizzazione che curi l’aggiornamento continuo e l’allargamento delle conoscenze dei suoi membri.

Come sosteneva G.H. Mead (1863 – 1931), primo comportamentista sociale, al di fuori della società non può esserci nessun sé e nessuna comunicazione e quindi ognuno di noi assume dal corredo genetico l’aspetto fisico e i caratteri somatici, ma la personalità viene totalmente influenzata dalla società in cui si vive.

L’organizzazione diventa quindi veicolo di formazione permanente e rende adeguato il flusso di comunicazioni curando la specializzazione non chiusa in compartimenti senza comunicazione e comprensione dei fini che tutti devono perseguire; per questo, ad ogni modifica delle strutture, deve corrispondere un adeguamento della rete di comunicazione. L’obiettivo è quello di rendere la comunicazione uno strumento valido di apprendimento, una comunicazione cioè che contribuisce all’aggiornamento in tempo reale e a rendere costantemente immanenti ai soggetti i fini dell’organizzazione stessa.

ANTOLOGIA

 

Distorsione dei fini organizzativi

La distorsione dei fini organizzativi che deriva dalla eccessiva insistenza nel misurare qualche aspetto dell’attività dell’organizzazione è solo uno dei tanti casi di distorsione che si verificano nel rapporto tra un’organizzazione ed i suoi fini. Nei paragrafi che seguono ci occuperemo di altre varietà del fenomeno che si indica in generale come distorsione dei fini. Le distorsioni dovute ad eccesso di misurazione sono relativamente lievi, in quanto non incidono sul fine principale dell’organizzazione pur tendendo a svilupparne alcuni aspetti a detrimento di altri; molto più grave e più dannoso è il fenomeno conosciuto sotto il nome di sostituzione dei fini.

 

Dalla distorsione alla sostituzione dei fini

Questa grave forma di distorsione dei fini è stata studiata per la prima volta dal sociologo tedesco Robert Michels. Essa si verifica quando un’organizzazione modifica i suoi fini, cioè sostituisce ai suoi fini legittimi altri fini, diversi da quelli per cui essa era stata creata, per i quali non avrebbe dovuto essere impiegata alcuna risorsa e per i quali non è ufficialmente chiamata ad agire.

La forma più lieve e più comune di sostituzione dei fini è costituita dal processo attraverso il quale un’organizzazione rovescia l’ordine di precedenza tra i fini e gli strumenti per realizzarli, vale a dire che in un certo senso trasforma i mezzi in fine ed il fine in un mezzo. Lo strumento che più di frequente diviene fine in questa forma di distorsione è costituito dall’organizzazione stessa: le organizzazioni non sono altro che strumenti creati per la realizzazione di uno o più fini. Ma nel processo attraverso il quale le organizzazioni sono create e dotate di risorse umane e finanziarie, si formano dei centri di interesse che spesso si preoccupano più del mantenimento e dell’accrescimento dell’organizzazione che del raggiungimento degli scopi originari. Questi centri di interesse usano i fini organizzativi come mezzi per procacciarsi fondi, per ottenere esenzioni fiscali o per migliorare lo status sociale dei singoli, in breve come di uno strumento per raggiungere i loro fini personali.

In diverse circostanze , importanti moti rivoluzionari vennero posposti “per migliorare la preparazione”, vale a dire per rendere l’organizzazione più grande, più potente e più sicura per i leaders. Così le organizzazioni che avevano in origine fini rivoluzionari divennero estremamente conservatrici. Da quando Michels enunciò la sua “ferrea legge dell’oligarchia” ad oggi, questa tendenza delle organizzazioni a sostituire i fini è stata posta in luce e documentata molte volte. Nelle organizzazioni più svariate si formano oligarchie anche quando i leaders sono elettivi ed i membri dell’organizzazione possono quindi cambiarli a loro piacimento. Con una critica di fondo si può infatti chiedere se sia proprio necessario che le organizzazioni che hanno uno scopo limitato e specifico siano democratiche. La trasposizione del concetto di democrazia dal settore pubblico a quello privato delle organizzazioni dotate di fini specifici e limitati, non è arbitrario e ingiustificato?

Non ci siamo resi conto che un’organizzazione, pur non osservando le regole della democrazia al suo interno, può tuttavia servire benissimo allo scopo di propugnare la democrazia nella società in cui agisce. Anzi può essere più efficace di una leadership democratica nello svolgimento del compito di guidare i membri dell’organizzazione al conseguimento dei fini democratici.

Selznick pone in luce una ulteriore forma di sostituzione dei fini. “Far funzionare un’organizzazione è un’attività necessaria e specializzata, tale da porre dei problemi che nulla hanno a che fare con i fini (originari) o dichiarati dall’organizzazione stessa e che spesso sono del tutto opposti a questi. Il comportamento di routine del gruppo è tutto dedicato a problemi specifici e fini parziali che hanno importanza solo sotto un profilo interno. D’altra parte dal momento che queste attività consumano la maggior parte del tempo dei membri delle organizzazioni, esse divengono dal punto di vista del comportamento effettivo di essi i veri fini dell’organizzazione, sostituendosi a quelli proclamati tali”. Il fatto che l’organizzazione sia così concentrata sui problemi interni, fa sì che essa divenga il fine principale di se stessa, trascurando completamente i fini cui doveva servire.

 

Successione, moltiplicazione ed espansione dei fini

Le organizzazioni con pluralità di fini hanno le loro difficoltà peculiari, che derivano in parte da quelle stesse caratteristiche che, a parità di altre condizioni, rendono organizzazioni di questo tipo più efficaci di quelle a fine unico.

 

Modelli basati sullo studio dei fini e dei sistemi organizzativi

 

L’uso del modello basato sui fini non è l’unico modo di valutare i risultati ottenuti da un’organizzazione. Piuttosto che mettere l’organizzazione a confronto con un modello ideale cui essa dovrebbe assomigliare, possiamo misurarne le prestazioni semplicemente confrontandola con altre organizzazioni. Ad esempio il modello basato sui sistemi o modello sistematico. Tale modello è formato da proposizioni sulle relazioni che debbono esistere tra i vari fattori perché un’organizzazione possa essere attiva. Quindi l’organizzazione deve risolvere anche altri problemi, oltre quelli direttamente connessi alla realizzazione del fine, e il dedicare a questi ultimi una attenzione eccessiva, può essere dannoso per le altre attività dirette alla realizzazione del fine.

 

L’indirizzo classico

 Teoria della “Direzione Scientifica”(Scientific Management)

Da questo pensiero discende il concetto di organizzazione formale, inteso come schema secondo il quale debbono essere costruite le organizzazioni ed al quale esse debbono restare aderenti. In seguito si è diffusa un’altra scuola di pensiero, quella detta delle Relazioni umane. Al contrario della teoria classica, la teoria delle relazioni umane dà speciale importanza agli aspetti emotivi, non prevedibili ed irrazionali del comportamento organizzativo. Da questo è stato elaborato il concetto di organizzazione informale. Questa viene a volte considerata come un concetto residuale che abbraccia tutto ciò che esiste oltre ed al di là dell’organizzazione formale, a volte come il vero aspetto dell’organizzazione, distinto dalla sua rappresentazione mediante diagrammi e piani. Restava il compito di porre in relazione tra di loro i concetti di organizzazione formale ed informale. Questo compito è stato svolto dall’indirizzo strutturalistico, che ha utilizzato a suo vantaggio anche l’analisi comparata. La scuola strutturale ha provato che un certo ammontare di tensioni e conflitti tra l’individuo e l’organizzazione è inevitabile, ma che non sempre questo è un elemento negativo.

  I quattro principi dell’ampiezza di controllo

Il numero di subordinati che può essere controllato efficacemente da un solo superiore, definisce l’ambito di controllo di questi.

Secondo il primo principio la specializzazione dovrebbe avvenire secondo il fine cui l’unità organizzativa tende: i lavoratori che cercano di realizzare lo stesso fine o subfine, dovrebbero appartenere alla stessa unità dell’organizzazione. Ci dovrebbero essere quindi tante divisioni o unità organizzative quanti sono i fini o subfini.

·       Il secondo principio di specializzazione prevede che tutto il lavoro che viene svolto con lo stesso procedimento venga svolto nella stessa unità, dal momento che esso richiede una conoscenza specifica e l’uso di capacità e tecniche omogenee.

·       Il terzo principio di specializzazione prevede che essa debba avvenire sulla base della clientela servita.Tutto il lavoro, secondo questo principio, dovrebbe essere svolto nella stessa unità.

Il quarto principio afferma che tutto il lavoro che viene svolto in una determinata area geografica deve essere svolto dalla stessa unità. In questo caso, mansioni del tipo più svariato, possono essere raggruppate nella stessa unità organizzativa.

I quattro principi di specializzazione sono stati sottoposti a critica da molti studiosi. E’ ovvio che i quattro principi non sono affatto utili al fine di fornire una guida sicura per la divisione del lavoro nelle organizzazioni.  Le organizzazioni crescono, si sviluppano, si suddividono e si riuniscono secondo schemi che solo in parte possono essere controllati dai loro dirigenti: programmare un’organizzazione è un’attività più simile a quella di un silvicultore che a quella di un architetto. In realtà, le organizzazioni risultano composte di una serie di livelli, ciascuno dei quali differisce dagli altri per il grado ed il tipo di specializzazione adottato. I fini esaminati da Simon, Smithburg e Thompson sono:

rispetto delle norme, esperienza ed economia, livello di risoluzione dei conflitti, politiche di sviluppo e programmazione.

 

Rispetto delle norme

Solo una persona priva di esperienza può pensare che gli ordini vengano eseguiti correttamente per il solo fatto che vengono emanati in modo corretto.(Problema della comunicazione infraorganizzativa)

Livello di soluzione dei conflitti (staff/line)

Dirigenti, unità organizzative ed organi specializzati di staff spesso vengono in conflitto tra di loro, sia perché i principi che determinano la divisione del lavoro ed i rapporti che debbono intercorrere tra di loro non sono chiari, sia perché i regolamenti sono rispettati dagli uni e non dagli altri, sia, infine, perché vi sono differenze di interessi, punti di vista o personalità che in qualche modo debbono essere conciliati. D’altra parte, viene riconosciuto che i conflitti non costituiscono un fattore negativo e soprattutto che non sono tali da dover essere tenuti nascosti ai livelli organizzativi più elevati. Inoltre, è possibile attribuire lo svolgimento delle varie attività-mezzo alle unità stesse che sono addette ai compiti direttamente connessi col fine: in tal modo i capi che controllano le attività dirette alla realizzazione del fine sono anche in grado di controllare i mezzi per tale realizzazione.

 

TEORIA DELLE DECISIONI

La funzione decisoria è ripartita in modo tale che, mentre i dirigenti deliberano le grandi linee di politica aziendale, gli amministratori dei gradini più bassi interpretano tali politiche e le trasformano in decisioni più dettagliate. In questo modo, l’intera organizzazione può essere vista come uno strumento efficace, composto, al vertice, di persone che decidono sulla politica aziendale, nei ranghi intermedi, di persone che specificano questa politica e, nei ranghi inferiori, di persone che svolgono compiti di lavoro vero e proprio. La divisione tra attività decisorie e attività lavorative è un metodo abbastanza comune di distribuire in maniera efficiente i vari compiti organizzativi. In termini tecnici l’organizzazione formale è costituita dalla suddivisione dei compiti e del potere tra i vari ruoli dell’organizzazione e dalle regole che dovrebbero regolare il comportamento dei membri dell’organizzazione, secondo quanto stabilito dalla direzione della stessa.

ORGANIZZAZIONE FORMALE ED INFORMALE

Mentre l’organizzazione formale deriva dai fattori messi in luce dalla scuola classica, quella informale deriva dai fattori sui quali ha concentrato la propria attenzione la scuola delle relazioni umane (Elton Mayo). L’organizzazione formale si riferisce in genere a quanto è voluto e pianificato dalla direzione; essa è formata dal grafico della divisione del lavoro e dell’autorità gerarchica, dai regolamenti e dalle altre disposizioni relative ai salari, alle multe, ai controlli di qualità. L’organizzazione informale si riferisce invece o alle relazioni di indole sociale che si sviluppano tra gli operai ed impiegati al di sopra ed oltre di quelle previste dalla struttura formale, oppure alle relazioni organizzative che si sviluppano nella realtà per effetto dell’interazione tra lo schema dell’organizzazione e la pressione dovuta alle relazioni sociali, tra i membri dell’organizzazione. Una discussione che verta su problemi di organizzazione formale si indirizza verso problemi di reparti o gradi gerarchici, mentre l’organizzazione informale riguarda gruppi di amici e relazioni tra leaders e seguaci.

 

LA CRITICA DEGLI STRUTTURALISTI

L’indirizzo strutturalista riconosce molti precursori, ma indirizza la sua critica contro un solo tipo di pensiero: una sintesi della scuola classica (o formale) e della scuola delle relazioni umane (o informale) che si basa anche sull’opera di Max Weber e di Karl Marx. Mentre gli studiosi delle relazioni umane si sono concentrati sulle organizzazioni industriali e commerciali, gli strutturalisti hanno anche studiato ospedali, prigioni, chiese, eserciti, scuole ed istituti di assistenza, allargando così l’ambito dell’analisi organizzativa sino a comprendervi tutti i tipi di organizzazioni. In questo capitolo, ci occuperemo del sorgere dell’indirizzo strutturalista come reazione alle “relazioni umane” delle quali sono assorbiti in un più largo schema concettuale alcuni dei principi fondamentali.

 

L’organizzazione come sistema sociale

Il punto di partenza degli strutturalisti è l’affermazione che la scuola delle relazioni umane non esamina l’organizzazione nella sua interezza e che l’immagine parziale che essa ne dà, è tale da favorire la direzione ed ingannare i lavoratori. Vi sono molte maniere per rendere il lavoro piacevole, ma nessuna di queste riesce a renderlo soddisfacente in senso assoluto. Secondo Marx, l’operaio dell’industria moderna è alienato dal suo lavoro perché egli non è proprietario, né degli strumenti che adopera, né del prodotto del suo lavoro. La specializzazione ha spezzettato il lavoro in modo tale che l’attività di ciascun operaio è divenuta ripetitiva, monotona e del tutto priva di occasioni per far valere l’istinto creativo individuale e la personalità. L’operaio conosce ben poco del processo produttivo; il suo lavoro è senza significato. Inoltre egli non può controllare che in minima parte il momento in cui il suo lavoro inizia ed il luogo nel quale esso si svolge. A questa analisi di Marx, Weber ha aggiunto la constatazione che questa forma di progressivo estraniamento (alienazione) esiste non solo tra l’operaio ed i mezzi di produzione, ma anche tra il soldato e le sue armi, tra lo scienziato ed i suoi strumenti,etc. [Vedi i vari studi citati in F.Herzberg,et al., Job Attitudes, Ppittsburgh, Psychological Service,1957].

Gli strutturalisti sollevano obiezioni a questa visuale parziale che trascura l’importanza della remunerazione materiale. Essi accettano il concetto di remunerazione sociale, introdotto dalla scuola delle relazioni umane, ma criticano l’uso che viene fatto di questo concetto sia parte dei dirigenti che cercano di addolcire gli operai dando loro simboli di prestigio e di affetto, che non costano nulla, invece di aumenti di salario. La morale è chiara: se la direzione fosse stata così accorta da comunicare i piani di sviluppo agli operai la crisi sarebbe stata evitata; verificatasi la crisi, il miglioramento delle comunicazioni l’ha risolta come per magia. Si deve riconoscere che le fabbriche che hanno adottato programmi di relazioni umane sono spesso anche quelle che hanno adottato salari più alti, migliori condizioni di lavoro e sistemi più democratici di contrattazione sindacale.

 

Fattori formali e fattori informali

Gli esperti di relazioni umane dedicano molta attenzione alle relazioni informali che si svolgono tra i lavoratori o tra di essi ed i loro capi, ma ben poca alle relazioni formali o alle relazioni che intercorrono tra gli aspetti formali e gli aspetti informali delle organizzazioni. E’ vero che i lavoratori formano gruppi sociali, ma quale relazione vi è tra questi gruppi e la struttura formale? I gruppi informali tendono a disporsi parallelamente alla struttura formale seguendone le linee di separazione tra reparti ed unità, o tendono invece ad opporsi ad essa distruggendo le barriere che essa pone? La lettura che delle descrizioni che gli scrittori della scuola delle relazioni umane fanno dei rapporti di lavoro, ci fornisce un numero notevole di dati delle relazioni che intercorrono tra i fattori informali sui quali essi tendono a concentrare la loro attenzione ed i fattori formali che essi tendono a trascurare: questo sforzo è stato fatto principalmente dalla scuola strutturalista.

 

Ricompense materiali e ricompense sociali

Gli strutturalisti considerano parziale il punto di vista adottato dalla scuola delle relazioni umane (come pure quello adottato dalla scuola della direzione scientifica) in relazione delle ricompense; essi infatti studiano sia le ricompense di indole materiale che quelle di indole sociale (teoria dei bisogni). Bisogna tuttavia tener presente che le ricompense simboliche sono valide solo nella misura in cui chi le riceve si identifica con l’organizzazione che le distribuisce, e, cosa ancora più importante, solo se esse sono capite ed apprezzate dalle persone che rivestono particolare importanza agli occhi di chi riceve la ricompensa, la moglie, i vicini, gli amici (role taking).

Benché sia stato provato che le ricompense sociali rivestono una notevole importanza nelle organizzazioni, questo non significa che bisogna trascurare le ricompense di indole materiale.

[Cfr. G.H.Mead, Mente, sé e società, Firenze, Editrice Universitaria, 1965].

 

Fabbriche, chiese, prigioni e scuole

Mentre la scuola della “direzione scientifica” e quella delle relazioni umane si erano concentrate esclusivamente su organizzazioni di lavoro, quali le fabbriche, le banche e le compagnie di assicurazione, l’indirizzo strutturalista ha ampliato l’ambito dell’analisi organizzativa sino ad includervi una gamma vastissima di organizzazioni che va dal partito comunista alla Chiesa Cattolica, dalle superprigioni ai piccoli collages residenziali. In tal modo quindi, non solo i contributi dei due indirizzi precedenti sono stati incorporati nell’indirizzo strutturalista, ma vi sono stati inclusi fattori non studiati in precedenza e l’oggetto dello studio si è allargato sino a coprire l’intera gamma delle organizzazioni. In generale l’analisi organizzativa si è allargata sino a comprendere:

1.    gli aspetti formali e quelli informali delle organizzazioni e le relazioni che intercorrono tra essi;

2.    l’importanza dei gruppi sociali e delle relazioni tra questi gruppi, all’interno ed all’esterno dell’organizzazione;

3.    i livelli gerarchici più elevati e quelli meno elevati;

4.    le ricompense di indole materiale e quelle di indole sociale e gli effetti delle une sulle altre;

5.    l’interazione tra l’organizzazione ed il suo ambiente;

6.    le organizzazioni di lavoro e gli altri tipi di organizzazioni.

 

 

Questa prospettiva più ampia ed equilibrata, non solo tende ad incoraggiare studi di organizzazione liberi da preconcetti e da partigianeria nei confronti della direzione e dei lavoratori e ad estenderne l’ambito a tutti i tipi di organizzazioni ed a tutti i loro elementi, ma rende più fruttuoso lo studio di ogni singolo elemento, provvedendo ad un contesto in cui esso può essere situato ed un punto di riferimento su cui giudicare la sua importanza per l’organizzazione.

 

BUROCRAZIE:STRUTTURA E LEGITTIMAZIONE

Il più importante problema delle organizzazioni è come controllare i membri della organizzazione in modo tale da rendere massima l’efficacia e la efficienza e rendere minima l’infelicità che consegue all’uso del controllo stesso (ampiezza di controllo). Quando l’esercizio del potere è considerato legittimo da coloro che vi sono soggetti – vale a dire quando gli ordini emanati o le regole poste sono in accordo con i valori di coloro che debbono conformarvisi – l’obbedienza è più profonda e più sicura in quanto, in questo caso, il soggetto interiorizza o fa sue le norme. Egli non troverà quindi la disciplina fonte di alienazione e continuerà a conformarsi a regole ed ordini anche quando il potere sanzionatorio dell’organizzazione sarà indebolito o scomparso. Quindi il bisogno di seguire norme che siano in accordo piuttosto che in contrasto con il sistema individuale di valori. Weber usa il termine di potere per indicare la capacità di indurre gli altri ad obbedire; il termine legittimazione per indicare l’accettazione dell’esercizio del potere in quanto questo è in accordo col sistema di valori individuali; ed il termine autorità per designare la combinazione di potere e legittimazione, vale a dire il potere legittimo.

 

I TIPI DI AUTORITA’ SECONDO WEBER

I tipi di autorità descritti da Weber si differenziano tra di loro per le origini e per il tipo di legittimazione che li contraddistingue piuttosto che per la sostanza del potere esercitato. Egli considera autorità tradizionale quella che si esplica quando i soggetti obbediscono agli ordini dei superiori ritenendoli giustificati in base al fatto che “si è sempre fatto così”; considera autorità razionale-legale o burocratica, quella che si esplica quando i soggetti accettano il potere altrui in quanto esso è in accordo con un sistema di norme astratte che essi considerano legittime e da queste “deriva” (in questo senso viene anche chiamato autorità razionale). Infine Weber ha distinto l’autorità carismatica, cioè quella che si esplica quando i soggetti accettano l’ordine del superiore per influenza della personalità di questi, col quale essi si identificano. La classificazione operata da Weber in merito ai tipi di autorità , può applicarsi ad almeno tre livelli.

Anzitutto può essere utilizzata al livello delle società, distinguendo tra queste, società tradizionali, burocratiche e carismatiche. Un’ulteriore utilizzazione della tipologia dell’autorità è quella che si attua nei confronti dei vari tipi di unità sociali, che sono quindi classificate per quanto riguarda il tipo di autorità che ne è alla base. Infine la tipologia può essere usata per caratterizzare e classificare le relazioni tra i singoli soggetti ed i loro superiori in una determinata organizzazione.

 

LA STRUTTURA BUROCRATICA

Specificità dei ruoli

E’ necessaria quindi per l’organizzazione una divisione sistematica di compiti, poteri e diritti. Non soltanto ogni membro dell’organizzazione deve conoscere i suoi compiti ed avere i mezzi per svolgerli – il che include innanzitutto la capacità di imporre il suo volere agli altri – ma egli deve anche conoscere i limiti dei suoi compiti, dei suoi diritti e dei suoi doveri cosicché egli non superi i confini che separano il suo ruolo da quello degli altri e metta in pericolo l’intera struttura.

 

Competenza base della legittimazione

“Le regole secondo le quali si procede possono essere regole tecniche oppure norme. Per la loro applicazione è necessaria in entrambi i casi, ai fini di una completa razionalità una preparazione specializzata. Normalmente, soltanto colui che può dimostrare di avere acquistato conoscenze tecniche adeguate è qualificato a far parte del corpo amministrativo”. A questo punto è sufficiente sottolineare che, secondo Weber, l’origine della creatività del burocrate risale alla sua conoscenza ed alla sua preparazione. Con questo non si vuole affermare che esse prendano il posto della legittimazione, ma solo che l’abilità tecnica e le conoscenze specializzate sono la base della legittimazione concessagli.

 

Il presupposto di Weber

Tutta l’analisi di Weber è basata su di una serie di princìpi che derivano da quello che secondo lui è il più delicato ed importante dei problemi dell’organizzazione:

il grado elevato di razionalità della struttura burocratica non è stabile;

esso deve essere costantemente protetto dalle pressioni esterne se si vuole che l’organizzazione conservi l’autonomia necessaria a perseguire i suoi fini ad esclusione di ogni fine estraneo.

 

Alcune osservazioni critiche

Gli eserciti, in tempo di pace, sono organizzazioni spiccatamente burocratiche, ma, in tempo di guerra, e specialmente in combattimento,  perdono molte delle loro caratteristiche burocratiche: regole e norme vengono abrogate, o, comunque, non rispettate; le doti personali di leadership contano di più della posizione ricoperta nella scala gerarchica; forme di comunicazione orali prendono il posto di quelle scritte; la separazione tra vita privata e vita dell’organizzazione scompare per la maggior parte.

 

CLASSIFICAZIONE DEI MEZZI DI CONTROLLO

I mezzi di controllo usati da un’organizzazione, possono essere classificati in tre categorie analitiche:

controlli fisici, controlli materiali e controlli simbolici.

L’uso di una frusta, di una rivoltella o di una catena è fisico in quanto tende a ledere il corpo; la minaccia di usare sanzioni fisiche è considerata come un mezzo fisico, in quanto ha un effetto dello stesso tipo, anche se meno intenso, dell’uso delle sanzioni fisiche vere e proprie. Il controllo basato sull’applicazione dei mezzi fisici è detto potere coercitivo.

I mezzi materiali sono costituiti da remunerazioni a mezzi di beni o servizi. Il distribuire simboli che permettano di acquistare beni o servizi (vale a dire moneta) è considerato un mezzo materiale in quanto ha lo stesso effetto dell’uso diretto di beni materiali. L’uso dei mezzi materiali per il controllo costituisce il potere utilitaristico.

Invece quando viene fatto uso di simboli per esercitare il controllo sociale si parla di potere normativo, normativo sociale o sociale. Il potere normativo è esercitato da coloro che occupano una posizione elevata in una scala gerarchica su coloro che sono subordinati. Il potere normale – sociale è quello che viene esercitato per via indiretta dal superiore, è di chi si rivolge al gruppo sociale cui appartiene il subordinato per esercitare un controllo su di esso. Il potere sociale è quello che viene esercitato da un gruppo di pari sui suoi membri.

 

 

In conclusione, l’uso dei mezzi simbolici di controllo tende a convincere la gente, l’uso dei mezzi materiali tende a far sorgere in essa un interesse personale ad obbedire, l’uso dei mezzi fisici tende a costringerla. Così mettendo in ordine le organizzazioni che fanno uso di potere coercitivo, vediamo con la più alta intensità i campi di concentramento, ai quali seguono nell’ordine le prigioni, gli istituti di correzione per minorenni, i manicomi ed i campi per i prigionieri di guerra. Tra le organizzazioni che fanno uso in modo predominante di mezzi utilitaristici sono in testa le fabbriche, seguono le organizzazioni impiegatizie, quali le banche e le società di assicurazione, ed infine abbiamo gli enti pubblici e gli eserciti in tempo di pace. Il potere normativo viene usato generalmente nelle organizzazioni religiose, nelle organizzazioni politico – ideologiche, nelle università, nelle associazioni volontarie, nelle scuole e nelle cliniche per malattie mentali.

 

ATTIVITA’ STRUMENTALI E SPECIFICHE

 

Se affermiamo che una determinata persona è un leader, dobbiamo specificare in quale campo lo sia. Ai nostri fini interessa una distinzione atta a classificare le attività sulle quali un’organizzazione può voler esercitare un controllo: tale distinzione è quella tra attività strumentali ed attività espressive. Le attività strumentali sono quelle che riguardano l’ingresso di mezzi nell’organizzazione e la loro distribuzione all’interno di essa; l’attività di scavo delle miniere e di fabbricazione di prodotti sono generalmente attività strumentali. Le attività espressive riguardano le relazioni che intercorrono tra i vari membri dell’organizzazione, le norme ed il far sì che i membri si adeguino ad esse; feste aziendali, cerimonie e discorsi di incoraggiamento ed elogio costituiscono attività espressive. Bales ed i suoi colleghi hanno dimostrato che i due tipi di attività tendono a crearsi ciascuno il proprio centro di controllo. In genere questi centri fanno capo a persone diverse ed esse richiedono caratteristiche psicologiche e di interpretazione del ruolo diverse.

La struttura della leadership di altre organizzazioni spiccatamente normative è molto simile a quella delle organizzazioni religiose [Philip Selznick, The Organizational Weapon trad.it., Vie traverse, Bologna,Cappelli,1958.] in cui la leadership è concentrata in coloro che ricoprono cariche ed i leaders informali o sono promossi ad una di queste cariche o sono espulsi.

 

CONTROLLO, SELEZIONE E SOCIALIZZAZIONE

Tra le organizzazioni normative, il grado di selettività adottato varia notevolmente: alcune sono molto selettive, altre non lo sono affatto. In generale le organizzazioni più selettive sono quelle che risultano più efficaci ed al tempo stesso ispirano ai loro membri una maggiore lealtà. Come giustamente afferma Simon, quanto più efficace è la socializzazione, tanto meno controllo è necessario. Quanto più diffuse sono le norme che sono dettate da un’organizzazione, tanto più difficile viene ad essere il controllo, e quindi tanto maggiore viene ad essere lo sforzo necessario per mantenerlo. Un fattore che sostanzialmente è collegato alla diffusione di norme è l’ambito organizzativo, che è determinato dal numero delle attività svolte congiuntamente dai membri dell’organizzazione.

 

LA RIVOLUZIONE ORGANIZZATIVA

Quasi la metà della ricchezza commerciale ed industriale degli Stati Uniti è concentrata nelle mani di circa 200 grandi società per azioni(s.p.a.): se le società preesistenti alla nostra avevano qualche organizzazione, la nostra è una società di organizzazioni. Quali sono le condizioni sociali che hanno favorito questa crescita delle organizzazioni? La principale caratteristica sociologica del processo di modernizzazione è la progressiva differenziazione delle unità sociali. Questo fattore risalta di più se si considera quanto avviene nelle società primitive o tradizionali.

La costruzione delle strutture economiche moderne, il processo della ricerca scientifica e l’efficienza organizzativa possono essere raggiunti solo se ci si basa su considerazioni a lunga scadenza piuttosto che a breve raggio. Se uno scienziato, cercando una soluzione rapida ad un problema difficile, viola i canoni della ricerca empirica, i risultati del suo lavoro non sono validi. Se un burocrate si lascia guidare dall’affetto per la sua famiglia o dalle sue emozioni, piuttosto che dalle regole procedurali stabilite, l’organizzazione è inefficiente. I mutamenti culturali e sociali trovano spesso il loro parallelo in mutamenti psicologici, benché tra le due serie di fattori non sussista una relazione diretta ed univoca. Vogliamo dire con questo che l’uomo moderno è diverso da quello che viveva nelle comunità primitive o tradizionali: egli ha i requisiti psicologici dell’“uomo dell’organizzazione”.

Gli operai ed i dirigenti scaricano le tensioni accumulate sul lavoro attraverso le relazioni sociali che intrattengono nel tempo libero in famiglia o in altre unità sociali e scaricano sul lavoro le tensioni prodottesi in casa. La seconda caratteristica fondamentale dell’uomo della società moderna, specialmente di quella dell’uomo dell’organizzazione, è costituita da un’elevata capacità di tollerare le frustrazioni e rinunciare alle soddisfazioni immediate.

L’orientamento verso il successo è anche necessario per il lungo processo di istruzione e aggiornamento necessario per ricoprire la maggior parte dei ruoli dell’organizzazione, specialmente quelli a livello professionale. Tuttavia, in linea di massima, per la maggior parte dei ruoli organizzativi, ed in particolar modo per quelli dei livelli superiori, il possedere in misura elevata le caratteristiche che abbiamo elencato in precedenza facilita, anche se in misura che varia da organizzazione ad organizzazione, l’adattamento della persona al suo compito e contribuisce a rendere più efficace la stessa organizzazione.

L’efficacia delle organizzazioni nel reclutare ed adattare il personale, è dovuta all’ambiente sociale che produce il tipo di personalità adeguato più che a sforzi coscienti da parte delle stesse organizzazioni di plasmare le personalità a secondo delle loro esigenze.

Le società moderne sono caratterizzate da un numero sempre crescente di organizzazioni sempre più grandi ed è stato riconosciuto da tempo che non è possibile lasciare l’interazione tra di esse – almeno nel campo economico – al libero gioco delle forze di mercato, perché ciò potrebbe causare sviluppi contrari al benessere della collettività.

 

Possibili gravi degenerazioni nell’organizzazione

In una organizzazione si può notare una grande varietà di degenerazioni del fenomeno organizzativo, quali il peculato, il nepotismo, il favoritismo, la corruzione e l’inefficienza pura e semplice dovuta a fattori quali l’ignoranza, la mancanza di sufficiente motivazione, di mezzi materiali e di coordinazione.

Lo studio delle organizzazioni deve quindi estendersi sino a comprendere sia l’ambiente delle singole nazioni che quello internazionale.

BIBLIOGRAFIA DI ORIENTAMENTO

·        Amitai Etzioni: Sociologia delle organizzazioni, Il Mulino,1967 (ed. in originale, 1964)

 

·        Elton Mayo: I problemi umani e socio-politici della civiltà industriale, UTET, 1969 (ed. in originale, 1933)

 

·        Ferdinando Dubla: Lezioni sui principi guida della metodologia della comunicazione formativa, Mariscuola Taranto, ed. luglio 2000

  ·        Ferdinando Dubla: I Principi costitutivi della metodologia della comunicazione nella didattica, Mariscuola Taranto, ed. novembre 1997

 

L’interpolazione è stata curata dagli allievi Conte Salvatore, Guastafierro Antonio, Refaldi Roberto, nell’ambito del corso I.MRS del novembre 2001.


 



 
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